
MENTORE DI TE STESSO
Mentore di te stesso
Come nasce il” Mentore di te stesso”?Immagina una vita passata a guardarti avanti e non avere nessuno che ti guidi o che ti consiglii disinteressatamente cosa è meglio fare, nessuno che ti trasmetta passioni,nessuno che inizia le frasi con “ricordati sempre”,”sappi che”, nessuno che ti trasmetta l’idea di origine, l’idea di appartenere a qualcosa iniziato molto prima di te ,qualcosa di rassicurante che ti faccia sentire accettato e sicuro di te perchè bambino,perchè adulto.
Immagina Quindi di essere sempre alla ricerca di una guida, di qualcuno che pensi ne sappia più di te,qualcuno da cui attingere,da emulare da ricalcare in tutto, quel qualcuno con gli schemi e gli attegiamenti che a te sembrano inarrivabili, il meglio,l’altro, qualcuno su cui porsi le domande:
cosa farebbe lui al mio posto? Come si comporterebbe in questa situazione? Come ne uscirebbe? Cosa farebbe al mio posto? Cosa dovrei fare per essere come lui?
Una vita passata in questo modo, guardando altri, cercando altri, con la sensazione costante di essere in piedi su un appoggio instabile, di essere grandi con piedi piccoli, di osservare tutti dal basso come se l’altro per qualche ragione a te sconosicuta ha sempre fatto di più è sempre meglio e cosi per sempre.
Poi arriva un momento, pensi che sia sfortuna che sia tu il problema, perchè non trovi più nessunco che possa essere una guida per te, nessuno che ti appaia migliore, nessuno che ti sembra perfetto anzi inizi ad intravedere debolezze e mancanzela dove prima vedevi solo perfezione e forza.
Inizia un momento di stasi, attesa, smarrimento, vivi ma non vivi, tutto scorre ma non percepisci, non stai ne male e ne bene, ti chiedi cosa stia succedendo, sei trincerato dietro un muro per evitare stimoli,pensieri sembra quasi di avere le orecchie sott acqua e percepire tutto ovattato, tutto scorre ma non ne sei padrone.
Quando tutto sembra meno chiaro, quando ti senti più perso che mai è il momento di cambiare sguardo. Non più alla ricerca di qualcuno, ma guardati dietro guardando quello che tu hai fatto,guardando dove ti trovi ma dando più importanza al dove sei partito, guardando cosa sei diventato,
guardando le battaglie che hai perso,quelle che hai vinto e quelle che hai il coraggio di combattere, accettandoti completamente scoprendo qual’è la strada che hai scelto e sceglierai di percorrere, eccolo è quello il momento che capisci che non troverai più nessuno da seguire perchè sei tu quello che sà cosa è giusto fare, sei tu quello che ha il coraggio di prendere decisioni, sei tu la persona giusta che sa cosa fare, sei tu quello che sa cavarsela, sei tu tu la tua guida, sei tu il tuo mastro, sei tu il tuo mentore.
Allora riparti, riapri gli occhi, Basta chiedersi cosa farebbe lui, ma cosa faccio io, basta cercare idoli,basta cercare mentori, non c’è nessuno davanti, non c’è nessuno sui tuoi binari, sei tu che guidi, sei tu la locomotiva, non ad alta velocità, ma costante ed innarestabile sicura di ogni curva in grado anche di sapersi fermare.
giorgio caputo
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SE
“Se riuscirai a mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono, e te ne fanno una colpa. Se riuscirai a avere fiducia in te quando tutti ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio. Se riuscirai ad aspettare senza stancarti di aspettare. Se riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se riuscirai a pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo, Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori, Se riuscirai a parlare alla folla e a conservare la tua virtù,
O passeggiare con i Re, senza perdere il senso comune, Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti, Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se riuscirai a riempire l’inesorabile minuto
Con un istante del valore di sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio”
Joseph Rudyard Kipling 1895
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LE ETICHETTE
LE ETICHETTE
Dal dizionario:
Designazione astratta o di comodo per classificare semplicisticamente una persona o una cosa.
Ognuno di noi, fin quando non decide di smettere di identificarsi con esse, ha addosso delle etichette. Etichette che ci indossano indossano gli altri, ma anche etichette che ci mettiamo noi stessi.
Ma davvero l’essere umano, nella sua complessità, può limitarsi a definirsi “semplicisticamente” con qualche termine comune in tutti gli anni della sua esistenza?
Ci sono etichette che facciamo davvero fatica a toglierci di dosso e che condizionano ogni passo che potremmo fare e che non facciamo perché diciamo a noi stessi “io sono così non riesco, non posso, non devo”.
Etichette che ci portano ad avere dei comportamenti più o meno a lungo che non rappresentano il nostro essere.
Ci tengono in gabbia, in schemi fissi che consideriamo immutabili.
Spesso, l’idea di cambiare, di uscire da questi schemi , da queste “etichette” ci fa più paura della situazione che stiamo vivendo, che per quanto possa essere dolorosa, ormai è “casa” e pensiamo che sicuramente fa meno male di cosa ci potrebbe essere al di fuori.
Ogni singola esperienza, reazione, relazione, emozione, seppur in piccola parte ci cambia, e quindi davvero le persone o noi stessi possiamo definirci in modo permanente? Possiamo davvero avere addosso delle etichette come dei prodotti?
Siamo complessi, mutiamo, evolviamo ogni singolo giorno.
Spesso, siamo così concentrati a guardare cosa pensano gli altri, che non ci rendiamo conto del nostro cambiamento, non riusciamo ad ascoltarci e restiamo fermi con l’idea di noi del passato invece di guardare a noi del presente.
Lasciamo agli altri la libertà di decidere noi chi siamo e crediamo più agli altri che a noi stessi.
E’ anche vero che ci sono persone meravigliose che possono guardarci nel profondo e possono vedere ciò che noi non riusciamo a vedere di noi stessi nei periodi più bui, ma ci saranno anche persone che proveranno a spegnerci ancora di più.
Ma noi possiamo decidere chi ascoltare , cosa tenere addosso e cosa togliere, cosa ci rappresenta davvero e cosa no.
Il fatto stesso di cambiare atteggiamento e modi di fare con le diverse persone che frequentiamo e che incontriamo nella nostra vita, ci fa comprendere forse, che non siamo una cosa sola e che ognuno ci vede un po’ come vuole e che l’importante è riconoscersi, riconoscere se stessi in tutti i vari passi della vita.
Non avere paura di uscire da questi schemi, di guardarti dentro e di vedere e riconoscere il tuo cambiamento, di farti vedere cambiato, di essere incoerente con le tue idee o comportamenti di qualche anno,mese,giorno, ora, attimo prima.
E se hai paura, vai incontro alla paura.
Guardati, immergiti, ti riconosci? Sei semplicemente “il te stesso” di ora.
Domani chissà cosa sarai.
Io il mio viaggio interiore per riconoscere e far conciliare ogni singola parte di me nella mia vita, nel qui e ora, l’ho iniziato un po’ di tempo fa, e ho la fortuna di essere accompagnata da due grandi fari,scelti non credo per caso, e da un gruppo meraviglioso in continua evoluzione.
A questi due fari una grande “etichetta” però vorrei metterla, solo per farvi comprendere una piccolissima e impercettibile parte di ciò che sono e che rappresentano nel mio percorso, ma non credo esista ancora una parola così grande. Vedere ogni settimana la mia e l’evoluzione di tutto il gruppo, è una delle emozioni più grandi. Mi auguro di “lavorare” un giorno con la loro stessa grande passione che trasmettono a pieno e che si può vedere nei loro occhi.
Anna Bombacigno
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VIVERE IL QUI ED ORA
I pensieri corrono costantemente nella nostra mente su cosa fare domani, cosa fare per pranzo, cosa mi è successo ieri, cosa mi ha detto questa persona mesi fa e con la quale sono ancora offeso… non lasciando quasi spazio al momento presente.
Di solito facciamo le cose in modo automatico: lavare i piatti mentre facciamo la lista della spesa nella nostra mente, lavare l’auto mentre cantiamo una canzone… senza notare veramente le sensazioni di ogni momento. Anche quando andiamo a fare una passeggiata, spesso non sentiamo nemmeno il suono degli uccelli perché siamo immersi nei nostri pensieri.
Tuttavia, vivere pensando sempre al passato o al futuro crea in noi un’enorme sofferenza. Pensare troppo al passato ci provoca impotenza per cose che non possiamo cambiare, senso di colpa per qualcosa che abbiamo fatto o rabbia per qualcosa che qualcuno ci ha fatto in passato, questo ci impedisce di crescere, mentre pensare troppo al futuro crea ansia. Il potere della mente è così grande che se non la controlli, in meno tempo di quanto pensi ti controllerà. I pensieri negativi ti invadono fino a diventare vittima del passato, che non è più nelle tue mani, e del futuro, che quasi mai accade come speriamo.
C’è un libro molto famoso di Eckhart Tolle chiamato “Il potere di adesso”, la cui filosofia si concentra sull’idea di vivere il momento al massimo. L’adesso è l’unica cosa su cui abbiamo il controllo assoluto, così l’ansia e la preoccupazione di non avere il controllo nel futuro si dissipano.
“Non bisogna pensare al futuro se non stiamo bene nel presente. È come correre con una gamba” – Giorgio Burdi
Un buon esercizio per concentrarsi sul momento presente è diventare consapevoli delle sensazioni di ogni momento: la sensibilità della nostra pelle quando tocchiamo un capo d’abbigliamento, i suoni che stiamo sentendo in quel preciso momento, il colore e la consistenza degli oggetti intorno a noi…. Questo esercizio ci permette di concentrarci su questo preciso momento, dissipando i nostri pensieri.
In breve, coltivando e curando il nostro presente, coltiviamo e favoriamo il nostro futuro. Un futuro più sano, più felice e più consapevole dell’importanza di assaporare il momento.
— SPAGNOLO —
Por nuestra mente están continuamente rondando pensamientos acerca de qué haré mañana, qué tengo que hacer de comer, qué me pasó ayer, qué me dijo esta persona hace meses y con la que aún estoy ofendida… sin dejar casi espacio al momento presente. Normalmente hacemos las actividades en automático: fregar los platos mientras repaso la lista de la compra, lavar el coche mientras canto alguna canción en la cabeza… sin realmente darnos cuenta de las sensaciones de cada momento. Incluso a la hora de dar el paseo muchas veces ni escuchamos el sonido de los pájaros porque estamos inmersos en nuestros pensamientos.
Sin embargo, vivir siempre pensando en el pasado o en el futuro crea en nosotros un tremendo sufrimiento. Pensar demasiado en el pasado nos provoca impotencia por las cosas que no podemos cambiar, culpa por algo que hicimos o rabia por algo que alguien nos hizo en el pasado, lo que nos impide crecer, mientras que pensar demasiado en el futuro nos crea ansiedad. El poder de la mente es tan grande, que si no la controlas, en menos de lo que piensas ella te controla a ti. Los pensamientos negativos te invaden hasta convertirte presa del pasado, que ya no está en tus manos, y el futuro que casi nunca sucede como esperamos.
Hay un libro muy famoso de Eckhart Tolle llamado “El poder del ahora”, cuya filosofía se centra en la idea de vivir el momento a plenitud. El ahora es lo único sobre lo que tenemos control absoluto, por lo que la ansiedad y la preocupación por no tener el control en el futuro se disipan.
“Non bisogna pensare al futuro se non stiamo bene nel presente. È come correre con una gamba” – Giorgio Burdi
Un buen ejercicio para concentrarnos en el momento presente es hacernos conscientes de las sensaciones de cada momento: la sensibilidad de nuestra piel al tocar una prenda de ropa, los sonidos que estamos escuchando en ese preciso instante, el color y la textura de los objetos que nos rodean… Este ejercicio nos permite enfocarnos en este preciso instante disipando nuestros pensamientos.
En resumen, cultivando y cuidando nuestro presente, estamos cultivando y favoreciendo nuestro futuro.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI

ABBRACCIARE L’INFERNO
Ricostruirsi per ricostruire
All’inizio dell’anno, l’Ordine degli psicologi, attraverso il suo presidente David Lazzari, ha lanciato un allarme che da tempo, era nitidamente percepito da numerosi psicoterapeuti, ovvero, che la pandemia è andata creando un’emergenza sanitaria parallela, riguardante la salute mentale dei cittadini. Non solo di quelli che hanno vissuto in prima persona la malattia, ma, soprattutto di coloro che hanno scontato le restrizioni individuali e sociali attuate per contenere i contagi da Covid-19.
Riporta Lazzari: “La popolazione è smarrita e stanca, stremata da questa emergenza che non sembra finire. Da tempo è in atto una emergenza psicologica che solo la politica non vuol vedere. Che oggi si ripropone e si accentua con una nuova ondata della pandemia”. (Fonte Ansa 7 gennaio 22).
La variante Omicron, nonostante l’ampia copertura raggiunta dalla campagna vaccinale e scavalcando ogni timida rassicurazione proveniente dall’OMS sulla minore aggressività presentata dalla sua sintomatologia, non ha, di fatto, mitigato i timori e le resistenze psicologiche dei singoli. I germogli di speranza che avevano resistito alle precedenti ondate son stati spazzati da una crescente rassegnazione, sfociante, nella maggior parte dei casi, in un fatalismo deleterio.
Perfino l’iniziale chiamata all’unità e alla resistenza propagandata nel primo lockdown è scomparsa, sommersa nell’ esercizio del sospetto e della diffidenza verso l’altro.
Durante le ultime festività natalizie – la stessa Confcommercio ha parlato di “effetto omicron” riferendosi al crollo di spese e consumi – si è assistito alla nascita di micro lockdown, questa volta auto inflitti, operati talvolta, a scapito di rapporti interpersonali, nonché del proprio benessere personale. Un clima non alleggerito dalla contraddittorietà delle informazioni provenienti dai mass media e che ha inciso la leggera patina di equilibrio che ci eravamo guadagnati, grazie ai progressi ottenuti con le terapie mediche e la diffusione dei vaccini su larga scala.
Questa sindemia, come l’hanno definita ultimamente, i ricercatori della Società di Neuropsicofarmacologia, cioè questa “iterazione sinergica tra patologie diverse (fisiche e mentali)” andrà a definire il futuro prossimo, tanto da condurre sociologi ed esperti a prospettare la formazione di una “Generazione Covid”, insicura, ipocondriaca e chiusa; incline, facendo riferimento al DSM-V, a sviluppare quei sintomi riconducibili al “Disturbo post-traumatico da stress”.
È probabile che la tempesta stia passando, ma, gli strascichi dovranno esser gestiti con competenza e risolutezza. Anche per questo motivo si sperava che il Mef, nell’ultima legge di bilancio, non rifiutasse in toto, la proposta di un “bonus psicologico”. Se da due anni a questa parte si sono sprecate le metafore su discese agli inferi, gironi, demoni et similia, è anche vero che ora, ci sarebbe bisogno di Virgilio, per risalire; di figure competenti e professionali che accompagnino il cammino verso ciò che molti hanno definito (si spera) un nuovo Rinascimento. In questo momento, non sono lontane le stesse sensazioni di Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, così scriveva nei suoi Quaderni dal carcere (1930), riferendosi alla sciagura degli estremismi europei, sul crinale della II guerra mondiale.
Virgilio non evitò l’inferno a Dante, lo portò fino all’ultimo girone spiegandogli ogni incontro, ogni inciampo ed esortando costantemente il Sommo Poeta, attraverso l’esempio e l’eloquenza, ad affrontare paure, mali e mostri.
Lo conduce fino giù, nel vento gelido della Giudecca, là dove guardano negli occhi Lucifero.
Ma nemmeno questa visione mostruosa concluse il viaggio. Non bastò il timore di Dante, impaurito e nascosto dietro il suo maestro.
Servì altro per uscire. Servì abbracciare tutto l’inferno, avvinghiarsi al suo nucleo ed usarlo:
“Attienti ben, ché per cotali scale”,
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
“conviensi dipartir da tanto male”. (Inf. XXXIV,84)
Dante vive il suo processo di autopoiesi proprio nell’inferno, per dirla come Jung. Rinnova la sua vita obbedendo a leggi di morte e rinascita, di sofferenza e di felicità. Non trova nuove ragioni o nuove teorie sul suo essere, ma, una nuova Consapevolezza, utile per affrontare e risollevare il suo mondo: “Inferno è quando il profondo arriva a voi con tutto ciò di cui non siete più o non siete ancora padroni. Inferno è quando non potete raggiungere ciò che potreste. Inferno è quando dovete pensare, sentire e fare tutto ciò che sapete di non volere. Inferno è quando sapete che per voi dovere è anche volere e che ne siete responsabili”. (Jung, Libro Rosso pag.245).
Dall’Inferno si esce abbracciandolo. Accettandolo, comprendendolo.
È questo, un movimento vitale, non un esercizio intellettuale. Dante, non termina il suo racconto con l’abbraccio a Lucifero. Ci porta, con Virgilio, nella “natural burella” di “mal suolo e di lume disagio”, un luogo che seppur scosceso e buio, conosce la bellezza dell’amicizia umana, del bene, del conforto di chi sa dov’è l’uscita “per riveder le stelle”.
Forse siamo in questo punto della storia.
Dobbiamo scegliere se tornare indietro o proseguire per goderci lo spettacolo del cielo.
Bisogna scendere a prenderci il bene che ci si merita, quasi parafrasando una canzone di non molto tempo fa:
“Pijiate nu poc ‘e ben
Pigliate o calor ‘e sta canzone
E nun cercà ‘e capì manc ‘e parole
M’abbast ca pe n’attim me sient”. (C. Gnut – 2018).
L’analisi vive di parole e di ascolto, le usa per definire un nuovo cammino. Il tuo.
Luca Anaclerio
Immagine: dal Liber secundus di Carl Gustav Jung
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AGISCI
Tutti abbiamo sempre sentito dire che bisogna pensare prima di agire quando si tratta di fare le cose. L’impulsività è sempre stata punita come una cosa negativa, ma non ci è mai stato detto: vai avanti, agisci.
Abbiamo una convinzione radicata che dovremmo pensare prima di agire, che portata all’estremo può influire sulla nostra salute: pensare troppo se fare o non fare qualcosa richiede una quantità enorme di energia e tempo. È vero che abbiamo bisogno di meditare sulle nostre decisioni, ma senza che questo ci costi troppo tempo o ci sfinisca emotivamente, che è quando diventa patologico, soprattutto quando iniziano ad emergere una serie di pensieri ossessivi.
“Se agisci non dai al pensiero (ossessivo) tanto potere e tempo per svilupparsi” – Giorgio Burdi
A volte è necessario “buttarsi in piscina”, senza pensare troppo alle conseguenze dell’azione. In questo modo evitiamo di essere bloccati dall’indecisione e dalla paura di prendere la decisione sbagliata. Molte volte nella vita ci manca il coraggio, o abbiamo paura di affrontare le cose, e finiamo per perdere opportunità, o cose che vogliamo. La paura paralizza.
Agire significa prendere coraggio e non lasciare che la paura guidi la nostra vita o le nostre azioni. A volte, meno pensiamo alle cose, meglio si rivelano. Lasciare che la vita scorra, senza preparare o forzare nulla, ci fa preoccupare meno di ciò che potrebbe accadere e fare semplicemente le cose che abbiamo voglia di fare, senza essere bloccati o paralizzati dai pensieri che ci entrano in testa.
Quindi, pensare prima di agire è un bene, ma fino a un certo punto, nel momento in cui ci accorgiamo che ci stiamo consumando è bene riprendere il controllo della propria vita e agire, sia nel bene che nel male.
Inoltre, raggiungere la capacità di prendere decisioni senza pensarci troppo può aumentare la nostra autostima e la nostra capacità di gestire efficacemente le richieste del nostro ambiente.
“Non dobbiamo pensare tanto, dobbiamo reagire” – Giorgio Burdi
— SPAGNOLO —
Todos hemos escuchado siempre que hay que pensar antes que actuar a la hora de hacer las cosas. La impulsividad siempre se ha castigado como algo malo, pero nunca nos han dicho: adelante, actúa.
Llevamos arraigada la creencia de que debemos pensar antes de actuar, que llevada al extremo puede afectar a nuestra salud: pensar demasiado si hacer o no una cosa nos quita una cantidad tremenda de energía y tiempo. Es cierto que tenemos que meditar nuestras decisiones pero sin que nos cuesten demasiado tiempo o desgaste emocional, que es cuando se convierte en patológico, sobretodo cuando empiezan a surgir una serie de pensamientos obsesivos.
“Si pasas a la acción no le das tanto poder ni tiempo ni al pensamiento (obsesivo) para que se desarrolle” – Giorgio Burdi
En algunas ocasiones hace falta “lanzarse a la piscina”, sin pensar demasiado las consecuencias de la acción. De esta manera evitamos quedarnos bloqueados ante la indecisión y el temor a tomar la decisión inadecuada. Muchas veces en la vida no tenemos valor, o nos da miedo afrontar las cosas, y terminamos perdiendo oportunidades, o cosas que deseamos. El miedo paraliza.
Tomar acción significa armarse de valor y no dejar que el miedo guíe nuestra vida o nuestras acciones. A veces, cuanto menos pensamos las cosas, mejor nos salen. Ese dejar fluir de la vida, no preparar ni forzar nada, nos hace preocuparnos menos por lo que pueda pasar y simplemente hacer las cosas que nos apetece hacer, sin dejarnos bloquear o paralizar por los pensamientos que se nos vienen a la cabeza.
Por lo tanto, pensar antes de actuar es bueno pero hasta cierto punto, en el momento en que notemos que nos estamos desgastando demasiado es bueno retomar el control de tu vida y tomar acción.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia España
Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
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RELAZIONI NEVROTICHE E AMBIVALENTI
Le relazioni con gli altri sono una parte fondamentale della nostra vita, e la qualità di queste relazioni influenzerà notevolmente la nostra salute mentale e il nostro equilibrio.
Dovremmo coltivare le relazioni che sono sane per noi, e che ci portano gioia, pace e tranquillità, e allontanarci da quelle che prosciugano la nostra energia. Tuttavia, ci sono alcune relazioni che non sono così facili da identificare, essendo sia gratificanti che dolorose per noi. Una frase che potrebbe descrivere tali relazioni sarebbe “ti amo e ti odio”.
Uno dei motivi principali per cui l’ambivalenza emotiva può essere così dolorosa è che cerchiamo di liberarcene. Cerchiamo di persuaderci che abbiamo solo sentimenti positivi o negativi verso qualcuno, ma questa è un’idea sbagliata.
Un chiaro esempio sono le relazioni familiari. In alcune famiglie, i genitori sono molto esigenti con i loro figli, che causa loro un’enorme ansia e problemi correlati. Un parente molto invasivo riempirà costantemente il bambino di rimproveri (non vestirti così, non ti sta bene, quella persona non va bene per te, dovresti studiare di più, non uscire oggi…) o di paragoni costanti con gli altri, ma allo stesso tempo usa la scusa “te lo dico perché ti voglio bene, e voglio il meglio per te” che crea una sensazione di ambivalenza nel bambino. “Mi fa male, ma perché mi ama”.
Un altro esempio familiare sarebbe il fatto che alcuni genitori fanno sentire i loro figli in colpa se escono troppo con gli amici, se iniziano a frequentare un ragazzo o lasciano il paese per un po’ di tempo per studiare, creando la concezione di “non divertirti, perché se ti diverti, mi lascerai”, creando nel bambino un sentimento di ansia e ambivalenza a causa dell’amore che provano per i loro genitori ma il desiderio di volersi individualizzare come persona.
Un altro esempio di rapporto nevrotico nelle relazioni di coppia sarebbe una relazione in cui uno dei partner non vuole compromessi, ma allo stesso tempo richiede costantemente l’attenzione del partner e si risente della frequentazione dell’altro partner. Tuttavia, quando si chiede più impegno nella relazione, io scappo. La frase sarebbe “Ci sto, non ci sto”.
Un modo per concludere queste relazioni nevrotiche sarebbe quello di imparare a identificare questi sentimenti di ambivalenza e porre dei limiti. Spesso è difficile perché queste relazioni abbassano l’autostima, ma dobbiamo essere consapevoli delle nostre risorse e imparare a usarle. La comunicazione è molto importante in tutte le relazioni, e farsi rispettare è qualcosa di fondamentale su cui dobbiamo lavorare se vogliamo mantenere relazioni sane e stabili in futuro.
— ESPAÑOL —
Las relaciones con los demás conforman una parte muy importante de nuestra vida, y la calidad de ellas influirá en gran medida en nuestra salud mental y equilibrio.
Debemos cultivar las relaciones que son saludables para nosotros, y nos aportan alegría, paz y tranquilidad, y alejarnos de las que drenan nuestra energía. Sin embargo, hay algunas relaciones que no son tan fáciles de identificar, siendo para nosotros tanto gratificantes como dolorosas. Una frase que podría describir este tipo de relaciones sería “te amo y te odio”.
Una de las principales razones por las que la ambivalencia emocional puede ser tan dolorosa es que tratamos de deshacernos de ella. Intentamos persuadirnos a nosotros mismos de que solo tenemos sentimientos positivos o negativos hacia alguien, pero es una idea errónea.
Un claro ejemplo son las relaciones familiares. En algunas familias, los padres son muy exigentes con los hijos, los que les causa una tremenda ansiedad y problemas relacionados. Un pariente muy invasivo llenará constantemente al hijo de reproches (no te vistas así, no te favorece, esa persona no te conviene, deberías estudiar más, hoy no salgas…) o constantes comparaciones con los demás, pero a la vez utiliza la excusa de “te lo digo porque te quiero, y quiero lo mejor para ti” lo que crea en el hijo un sentimiento de ambivalencia. “Me hace daño, pero porque me quiere”.
Otro ejemplo familiar sería el hecho de que algunos padres hacen sentir culpables a sus hijos si salen demasiado con amigos, si empiezan a salir con un chico o dejan el país por un tiempo para estudiar, creando la concepción de “no disfrutes, porque si disfrutas, me dejas”, creando en el hijo una sensación de ansiedad y ambivalencia por el amor que siente hacia sus padres pero el deseo de querer individualizarse como persona.
Otro claro ejemplo de rapporto nevrotico en relaciones de pareja sería una relación en la que una de las personas no quiere comprometerse, pero a la vez demanda constantemente la atención de la pareja y le molesta que salga con otras personas. Sin embargo, cuando tú demandas más compromiso en la relación, yo huyo. La frase sería “Estoy, no estoy”.
Una manera de acabar con estas relaciones neuróticas sería aprender a identificar estos sentimientos de ambivalencia y poner límites. A menudo es difícil porque este tipo de relaciones te bajan la autoestima, pero tenemos que ser conscientes de nuestros propios recursos y aprender a utilizarlos. La comunicación es muy importante en todas las relaciones, y hacernos respetar es algo fundamental que tenemos que trabajar si queremos mantener relaciones sanas y estables en el futuro.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI

LA REALTÀ È LA NOSTRA CURA
Spesso non vediamo la realtà così com’è, ma attraverso occhiali che proiettano le nostre credenze, prospettive, illusioni e, in generale, la nostra esperienza di vita. È per questo che le persone reagiscono in modo diverso alla stessa situazione.
Abbiamo una serie di schemi attraverso i quali analizziamo le nostre esperienze quotidiane, che possono essere più o meno rigidi. Per esempio, a seconda delle nostre convinzioni e della nostra autostima, quando qualcuno dice “Sei bella oggi” possiamo pensare che sia un bel complimento, o che la persona stia mentendo o ridendo di noi. A seconda di quanto siano adattivi i nostri schemi, agiremo e penseremo in modo più o meno sano.
Essere consapevoli che ci sono sempre diverse prospettive sulla stessa situazione ci fa allontanare dal manuale che avevamo stabilito e agire in un modo che è più vantaggioso per noi. Quando ci succede un qualsiasi evento, l’emozione che proviamo dipende dalla nostra interpretazione della situazione. A seconda dell’interpretazione che ne diamo, questo ci farà sentire in un certo modo e, di conseguenza, il nostro comportamento tenderà in una direzione o nell’altra.
I nostri pensieri negativi e le nostre preoccupazioni spesso ci fanno soffrire più del dovuto: essendo intrusivi, ricorrenti, esagerati… Ci sentiamo in una “nuvola” che offusca la nostra visione e non possiamo vedere oltre.
Quindi come possiamo controllare le nostre emozioni? Cosa possiamo fare per cambiare il modo in cui ci sentiamo? La risposta sta nell’imparare a cambiare il modo in cui interpretiamo gli eventi, cioè a cambiare il discorso interno che abbiamo con noi stessi.
Chiediti le seguenti domande: “Quello che sto pensando è davvero così?”, “Tutti gli altri lo capirebbero allo stesso modo?”, “Cosa penserebbe la persona che più ammiro della stessa situazione?”, “E il mio migliore amico?”
Non credere a tutto ciò che pensi: prima di tutto sii consapevole che i nostri pensieri sono solo questo: pensieri. Non sono la realtà. I nostri pensieri e le nostre preoccupazioni sono la nostra interpretazione ed elaborazione della realtà… non la realtà stessa.
Pertanto, dobbiamo imparare a identificare le nostre emozioni negative quando appaiono, in modo che quando notiamo quel segnale di avvertimento, possiamo fermarci un momento e cercare il pensiero che ci ha portato a sentirci in quel modo, e poi cercare un modo di pensare alternativo più adattivo. Questo non è un compito facile, poiché siamo profondamente radicati nel nostro sistema di credenze e ci vuole pratica e sforzo per cambiarlo.
— ESPAÑOL —
A menudo no vemos la realidad tal y como es, sino a través de unas gafas que proyectan nuestras creencias, perspectivas, ilusiones y, en general, nuestra experiencia de vida. Es por este motivo que las personas reaccionamos de manera diferente ante una misma situación.
Tenemos una serie de esquemas a través de los cuales analizamos nuestras experiencias cotidianas, que pueden ser más o menos rígidos. Por ejemplo, según nuestras creencias y nuestra autoestima, cuando alguien nos dice “Hoy estás muy guapa” podemos pensar que es un agradable cumplido, o que esa persona está mintiendo o se está riendo de nosotros. Dependiendo de lo adaptativos que sean nuestros esquemas actuaremos y pensaremos de forma más o menos saludable.
Ser conscientes de que siempre hay varias perspectivas ante una misma situación nos hace alejarnos del manual que teníamos establecido y actuar de manera más beneficiosa para nosotros. Cuando nos sucede cualquier cosa, la emoción que surge se basa en la interpretación que cada uno hace de la situación.
¿Cómo podemos entonces controlar nuestras emociones? ¿Qué podemos hacer para cambiar la manera en la que nos sentimos? La respuesta radica en aprender a cambiar la forma que tenemos de interpretar los acontecimientos, es decir, modificar el discurso interno que tenemos con nosotros mismos.
Plantéate las siguientes cuestiones: “eso que estoy pensando, ¿es realmente así?”, “¿todo el mundo lo entendería igual?”, “¿qué pensaría de esa misma situación la persona que más admiro?”, “¿y mi mejor amigo?”
Tenemos que tener siempre presente que nuestros pensamientos están condicionados por nuestras creencias y que no necesariamente reflejan la realidad.
Por ello, tenemos que aprender a identificar por qué aparecen las emociones negativas y cuales son mis esquemas y creencias que provocan estas emociones, con el fin de modificarlos de la manera más adaptativa posible.
Maria Luz Romero
Laureanda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI

IL DOVERE DI AVERE UN SENSO
White screen of death – Contro il senso del dovere
Qualche mese fa, mi è stata affidata la gestione del portale internet dell’attività per cui lavoro. Una mansione delicata, perché, attraverso il sito, la nostra clientela viene a conoscenza della maggior parte delle informazioni che permettono di sceglierci, rispetto ai vari concorrenti. Non occorrono molte competenze informatiche: dovere principale è ordinare le pagine del sito e aggiornarlo con articoli, commenti e foto condivisibili sui social. Occorre, però, stare attenti, cosa a cui non ho badato una sera, aggiornando i plug-in della pagina. Non so in quale modo, ho crashato tutto, facendo andare il sito offline o, per dirla come gli esperti in materia, ho prodotto il “White screen of death” – la Schermata bianca della morte che decreta la sospensione del sito e la perdita dei dati lì reperibili.
Ero in panico assoluto. In primo luogo, avevo vanificato anche il lavoro fatto da altri prima di me e poi avevo disperso così, la fiducia riposta nei miei confronti. Per di più, ogni mio tentativo di ristabilire la normalità attraverso backup di sistema o risultava inutile o rischiava di peggiorare la situazione. Chi, in quel momento, ci avesse cercato sul web, si sarebbe trovato davanti una bella pagina candida e vergine, con, nel margine, numeri incomprensibili che forse, decodificati avrebbero reso in lettere: “Scusateci, ma il nostro webmaster è un coglione!”.
Cosa fare? La mia mente proponeva tre soluzioni:
– Non presentarmi al lavoro e scappare in Brasile.
– Confessare tutto al mio datore di lavoro e cercare con lui, un rimedio.
– Scappare, ora, in Brasile.
Accantonata (momentaneamente) l’idea della partenza, riprovai, nottetempo, un inattaccabile discorso di scuse; mentre lo ripassavo, però, cominciavo a rendermi conto che la paura più grande, quella che mi assediava fino a non permettermi di ragionare, non stava tanto nell’aver mancato all’incarico di fiducia, quanto aver perso una sorta di sfida col mio senso del dovere e della perfezione.
Mi preoccupava il conto che non tornava con me stesso, non quello con gli altri.
La terapia insegna che esiste un senso dell’obbligo, del dovere, spendibile fino al personale martirio, imparato da piccoli e che ci impegna nei confronti di ogni relazione: partner, famiglia, lavoro, società…questo lavoro forzato sottrae il netto (l’essenza) della nostra felicità.
Evochiamo, nel nostro inconscio, un “fantasma sacrificale” – per dirla con Recalcati – che aggiungiamo al “sacrificio primordiale” che permise ai nostri progenitori, di far parte dell’umano consorzio. “La differenza tra il sacrificio simbolico e il fantasma sacrificale consiste nel fatto che mentre nel primo una quota pulsionale viene “sacrificata” dal soggetto in cambio della sua inclusione nella comunità umana, nella logica del fantasma sacrificale il sacrificio diventa una meta paradossale della pulsione: non mi sacrifico in vista di un fine perché il sacrificio è in sé stesso un fine”. (Recalcati – Contro il sacrificio p.42).
Il cuore della nevrosi dell’uomo contemporaneo sarebbe qui; in una dispersione di forze che quieta temporaneamente e non realizza mai.
Per spiegarlo, alla pari di Camus, potremmo far riferimento al mito di Sisifo.
Simbolo del dovere sterile che ci rende degli “uomini cammello” (Nietzsche), ovvero degli schiavi che addossano inutilmente su sé, tutte le responsabilità del mondo, Sisifo è condannato dagli dei a spostare, sulla vetta ad una montagna, un grosso macigno; questo, ogni volta che avrà raggiunto la sommità, ricadrà su sé stesso per effetto del suo peso. La pena di Sisifo, quindi, oltre che quello della fatica, è costituita dalla consapevolezza che quell’eterno lavoro servirà solo a placare l’ira degli dei nei suoi confronti e a fermare là, il suo mondo: “Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”. (Camus – Il mito di Sisifo).
Immaginarci felici, semmai col ragionamento: “se sconterò questo avrò in cambio gioia e pace”, non può bastare.
Sacrificarsi per mantenere bianca e pura, la facciata del quieto vivere, può nascondere la morte dell’anima.
Il dovere porta piacere se si connette al nostro Desiderio, se ci conduce verso quello che con consapevolezza, ci nutre, ci fa crescere, ci rende uomini e donne migliori. Sisifo guarda alla vetta della montagna; l’analisi ci aiuta a guardare più in alto, a coltivare, semmai buone passioni per non essere schiavi di quegli schemi mentali ereditati, ma, che è sempre possibile modificare.
Cosa non semplice, rendersi conto che molte volte, spostiamo pesi enormi, per conto di regole antiche, ma, è la fatica impiegata per quella lotta di liberazione ad essere giustificabile e foriera di stabilità interiore.
Da parte mia, non sono più scappato in Brasile. Ho preferito chiedere un parere ad un amico più esperto, riuscendo a far tornare on-line, il sito. Al referente ho spiegato che, alla luce dell’accaduto, ove avesse ritenuto opportuno, poteva scegliersi un altro media manager, per curare la nostra visibilità sul web. La risposta è stata che, per il momento, non si sarebbero cercati tecnici, ma persone che mettono passione nel loro lavoro.
Quel compito, così, si è trasformato in una cosa davvero mia, avrei potuto rinunciare e restare nel mio solito ruolo, “avrei potuto anche accontentarmi, ma è così che si diventa infelici.” (C. Bukowski)
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IL DIRITTO DI DELUDERE
Tutti abbiamo paura di deludere gli altri e soprattutto i nostri cari, così come di deludere noi stessi.
Ci poniamo continuamente obiettivi, scopi e aspettative che dobbiamo soddisfare, altrimenti ci sentiamo sconfitti. Questo significa che più obiettivi e traguardi raggiungiamo, più siamo validi come persone, o più amore ci meritiamo dai nostri cari?
Alcune persone confondono la lode con l’amore, ma essere lodati non significa essere amati. Spesso cerchiamo l’approvazione nella lode degli altri, il che ci rende troppo esigenti con noi stessi, e questo genera in noi una quantità molto alta di stress e ansia. Non possiamo essere perfetti. Spesso non raggiungere un obiettivo crea in noi un sentimento di inferiorità, di non essere adeguati, e la paura di essere rifiutati. Un fattore molto importante è che l’ambiente intorno a noi sia accogliente, aperto al cambiamento e all’apprendimento lungo la strada. La constatazione dell’impossibilità di essere ‘perfetti’ genera frustrazione e incide pesantemente sull’autostima del individuo.
Stabilire degli obiettivi è un meccanismo di adattamento e ci aiuta ad aumentare la nostra motivazione e a focalizzare la nostra attenzione sulle cose che vogliamo raggiungere, ma dobbiamo stare attenti a non fissare obiettivi troppo alti e mettere a rischio la nostra salute mentale. Dobbiamo cercare un equilibrio. Dovremmo fissare degli obiettivi che ci permettano di bilanciare il nostro tempo libero e la cura di noi stessi con il lavoro e il senso del dovere.
Parafrasando un famoso monologo cinematografico: “la delusione è valida, la delusione è giusta, la delusione funziona, la delusione è chiara. La delusione in tutte le sue forme: la delusione di vita, di amore, di sapere, sportiva, imposta lo slancio in avanti”. Tutte le delusioni che attraversiamo nella nostra vita ci aiutano a crescere.
Non si può controllare tutto nella vita. Purtroppo, questo apprendimento arriva dopo aver subito grandi delusioni. È importante rendersi conto che le uniche cose che si possono controllare sono i propri atteggiamenti, decisioni, sentimenti e azioni. È certamente uno spreco di energia e un comportamento inutile concentrarsi su ciò che non può essere controllato. Dobbiamo essere sempre in grado di tenerlo a mente.
Infine, dobbiamo pensare a noi stessi. Poiché le battute d’arresto sono inevitabili, non bisogna perdere di vista il proprio obiettivo principale nella vita. Spesso le delusioni non hanno nulla a che fare con ciò che spinge una persona, la sua missione. La missione deve essere il raggiungimento del proprio benessere. Questo sarebbe il primo e necessario passo per poter aiutare gli altri. Dobbiamo imparare a fermarci, a prenderci cura di noi stessi, a dimenticare un po’ il senso del dovere e trovare il senso del piacere.
— ESPAÑOL —
Todos tenemos miedo de decepcionar a los demás y especialmente a nuestros seres queridos, así como de decepcionarnos a nosotros mismos. Constantemente nos fijamos metas, objetivos y expectativas que tenemos que cumplir, de lo contrario nos sentimos derrotados. ¿Significa esto que cuantas más metas y objetivos alcancemos, más valiosos seremos como personas o más amor mereceremos de nuestros seres queridos?
Algunos confunden la alabanza con el amor, pero ser alabado no es ser amado. A menudo buscamos la aprobación en los elogios de los demás, lo que nos hace ser demasiado exigentes con nosotros mismos, y esto nos genera una gran cantidad de estrés y ansiedad. No podemos ser perfectos. A menudo, el hecho de no alcanzar un objetivo crea un sentimiento de inferioridad, de no ser adecuado, y un miedo al rechazo. Un factor muy importante es que el entorno que nos rodea sea acogedor, abierto al cambio y al aprendizaje en el camino. La constatación de que es imposible ser “perfecto” genera frustración y afecta gravemente a la autoestima del individuo.
Establecer objetivos es un mecanismo de adaptación y nos ayuda a aumentar nuestra motivación y a centrar nuestra atención en las cosas que queremos conseguir, pero debemos tener cuidado de no poner nuestros objetivos demasiado altos y poner en riesgo nuestra salud mental. Hay que buscar un equilibrio. Debemos establecer objetivos que nos permitan equilibrar nuestro tiempo libre y el cuidado personal con el trabajo y el sentido del deber.
Parafraseando un famoso monólogo cinematográfico: “la decepción es buena, la decepción es correcta, la decepción funciona, la decepción es clara. La decepción en todas sus formas: la decepción en la vida, en el amor, en el conocimiento, en el deporte, marca el ritmo”. Todas las decepciones que sufrimos en nuestra vida nos ayudan a crecer.
No se puede controlar todo en la vida. Desgraciadamente, este aprendizaje llega después de experimentar grandes decepciones. Es importante darse cuenta de que lo único que puedes controlar son tus actitudes, decisiones, sentimientos y acciones. Sin duda, es un desperdicio de energía y un comportamiento inútil centrarse en lo que no se puede controlar. Debemos tenerlo siempre presente.
Pensar en nosotros mismos
Por último, tenemos que pensar en nosotros mismos. Como los contratiempos son inevitables, no debemos perder de vista nuestro objetivo principal en la vida. A menudo, las decepciones no tienen nada que ver con lo que impulsa a una persona, su misión. La misión debe ser el logro del propio bienestar. Este sería el primer y necesario paso para poder ayudar a los demás. Tenemos que aprender a parar, a cuidarnos, a olvidarnos un poco del sentido del deber y encontrar el sentido del placer.
Maria Luz Romero
Laurenda in Psicologia Clinica Universidad De Murcia Espana Tirocinante Erasmus presso lo
Studio BURDI
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