
ANORGASMIA
Anorgasmia
quando il piacere sessuale è fuori portata
L’anorgasmia è un disturbo sessuale che colpisce sia gli uomini che le donne. Si tratta della difficoltà o impossibilità di raggiungere l’orgasmo durante l’attività sessuale.
L’anorgasmia può essere causata da una serie di fattori, sia psicologici che fisici. In questo articolo, esploreremo le cause, i sintomi e i trattamenti per l’anorgasmia.
L’anorgasmia può colpire sia gli uomini che le donne di tutte le età. Non esiste un profilo specifico di persona che può soffrire di questo disturbo sessuale, in quanto le cause possono essere molteplici e variano da persona a persona.
Alcuni studi suggeriscono che l’anorgasmia è più comune nelle donne rispetto agli uomini, ma ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le donne spesso hanno una maggiore difficoltà a parlare apertamente dei loro problemi sessuali rispetto agli uomini.
In ogni caso, l’anorgasmia può avere un impatto significativo sulla qualità della vita sessuale e sul benessere psicologico e fisico della persona che ne soffre, motivo per cui è importante cercare il supporto di un professionista qualificato se si sospetta di avere questo disturbo.
Cause dell’anorgasmia
L’anorgasmia può essere causata da una varietà di fattori.
Tra le cause psicologiche, ci sono problemi di ansia, depressione, stress, insicurezza sessuale, traumi o abusi sessuali, problemi di relazione e di comunicazione con il partner, e altro ancora.
Le cause fisiche possono includere problemi ormonali, malattie o patologie che colpiscono il sistema riproduttivo, l’uso di farmaci specifici, e altro ancora.
Il sintomo principale dell’anorgasmia è la difficoltà o l’incapacità di raggiungere l’orgasmo durante l’attività sessuale.
Tuttavia, ci sono anche altri sintomi che possono accompagnare l’anorgasmia, come la mancanza di desiderio sessuale, la difficoltà a mantenere l’erezione (negli uomini), il dolore durante i rapporti sessuali, e altro ancora.
Anorgasmia nell’uomo
L’anorgasmia nell’uomo si verifica quando egli non riesce a raggiungere l’orgasmo durante l’attività sessuale.
Questa condizione può essere causata da una serie di fattori, come problemi fisici, psicologici o relazionali.
Ad esempio, problemi fisici come la disfunzione erettile, l’ipertrofia prostatica benigna o l’uso di alcuni farmaci possono causare anorgasmia nell’uomo.
D’altra parte, problemi psicologici come lo stress, l’ansia, la depressione, la bassa autostima o il trauma sessuale possono anche causare anorgasmia nell’uomo.
Anorgasmia nella donna
L’anorgasmia nella donna si riferisce all’incapacità di raggiungere l’orgasmo durante l’attività sessuale.
Questa condizione può essere causata da una varietà di fattori, tra cui problemi fisici, psicologici o relazionali.
Tra i problemi fisici che possono causare anorgasmia nelle donne, ci sono la disfunzione sessuale femminile, la menopausa, la chirurgia pelvica o l’endometriosi.
Allo stesso modo, problemi psicologici come l’ansia da prestazione, la depressione, il trauma sessuale o la scarsa autostima possono influire sulla capacità di una donna di raggiungere l’orgasmo.
Tipologie di anorgasmia
Esistono alcune classificazioni comuni dell’anorgasmia:
- Anorgasmia primaria e anorgasmia secondaria: l’anorgasmia primaria si riferisce all’incapacità di raggiungere l’orgasmo dalla prima attività sessuale, mentre l’anorgasmia secondaria si verifica quando una persona che in passato ha sperimentato orgasmi inizia ad avere difficoltà a raggiungerli.
- Anorgasmia generale e anorgasmia situazionale: l’anorgasmia generale si riferisce all’incapacità di raggiungere l’orgasmo in qualsiasi situazione sessuale, mentre l’anorgasmia situazionale si verifica solo in alcune situazioni.
- Anorgasmia primaria generalizzata e anorgasmia primaria selettiva: l’anorgasmia primaria generalizzata si riferisce all’incapacità di raggiungere l’orgasmo in qualsiasi forma di attività sessuale, mentre l’anorgasmia primaria selettiva si verifica solo in alcune forme di attività sessuale.
- Anorgasmia organica e anorgasmia psicogena: l’anorgasmia organica si riferisce a cause fisiche della condizione, come la disfunzione sessuale femminile o la disfunzione erettile, mentre l’anorgasmia psicogena è causata da fattori psicologici come lo stress, l’ansia o la depressione.
La classificazione dell’anorgasmia è importante per aiutare a identificare la causa sottostante e fornire il trattamento appropriato.
La valutazione di un medico o di uno specialista in sessuologia può aiutare a determinare la migliore opzione di trattamento per la condizione.
Impatto sulla vita
Chi soffre di anorgasmia può sperimentare una vasta gamma di emozioni e sensazioni. Gli uomini e le donne che soffrono di anorgasmia possono sentirsi frustrati e delusi per non essere in grado di raggiungere l’orgasmo durante l’attività sessuale, soprattutto se si sentono in colpa o inadeguati.
Inoltre, le persone che soffrono di anorgasmia possono provare un senso di perdita di controllo durante l’attività sessuale e una mancanza di piacere e di gratificazione.
Questi sentimenti possono portare a una ridotta autostima, ad un aumento dell’ansia e dello stress durante l’attività sessuale e ad un’insoddisfazione sessuale generale.
In alcuni casi, l’anorgasmia può anche portare ad una ridotta libido, alla disfunzione erettile negli uomini o alla secchezza vaginale nelle donne.
Questi sintomi possono a loro volta portare ad una riduzione dell’interesse per l’attività sessuale e ad un maggior rischio di evitamento del sesso.
È importante sottolineare che ogni persona può sperimentare l’anorgasmia in modo diverso e che le emozioni e le sensazioni associate possono variare da persona a persona.
In ogni caso, l’anorgasmia può avere un impatto significativo sulla vita sessuale e sulla salute mentale delle persone che ne soffrono.
Trattamenti per l’anorgasmia
Il trattamento dell’anorgasmia dipende dalle cause del disturbo.
In alcuni casi, il problema può essere risolto con la psicoterapia sessuologica per individuare le cause sottostanti, parallelamente avvicinando il soggetto a pratiche fiosioterapiche autogestite, attraverso stimolazioni auto erotiche, verso le quali potrebbe aver sviluppato forme di inibizioni dovute ad imbarazzi e vergogne, maturate lungo il suo percorso di vita, attraverso modalita educative disfunzionali.
In altri casi, possono essere necessari farmaci per trattare problemi ormonali o altre malattie fisiche.
In alcuni casi, è possibile utilizzare la stimolazione dei nervi genitali tramite vibrazioni o altri dispositivi.
Infine, possono essere utili esercizi per rinforzare i muscoli pelvici e migliorare la funzione sessuale.
Conclusioni
È importante notare che l’anorgasmia non deve essere un tabù o fonte di vergogna, e che molte persone ne soffrono.
Con il supporto adeguato, è possibile superare questo disturbo e godere di una vita sessuale soddisfacente.
In sintesi, se si sperimenta l’anorgasmia, è importante parlare con un medico o un professionista qualificato per discutere delle opzioni di trattamento disponibili e trovare la soluzione migliore per migliorare la propria vita sessuale e la propria salute mentale.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso
Studio BURDI
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CLITORIDIMIA
Clitoridinia
comprendere il dolore al clitoride e trovare sollievo
La clitorodinia è un disturbo che causa dolore al clitoride, manifestandosi attraverso sensazioni di bruciore, pulsazioni o pungenti.
Le cause del dolore possono essere molteplici, ad esempio lesioni, infezioni o danni all’area.
Inoltre, può essere causata da problemi psicologici come lo stress, l’ansia e la depressione che possono influire sulla sensibilità del clitoride e causare dolore.
Tuttavia, è importante sottolineare che la maggior parte dei casi di clitorodinia possono essere trattati con successo attraverso farmaci, terapia psicologica, terapia fisica o modifiche dello stile di vita.
È quindi possibile trovare sollievo dal dolore al clitoride e migliorare la propria qualità di vita.
Come si sente il dolore al clitoride?
Il dolore al clitoride è un disturbo che può essere lieve o grave, ma comunque molto fastidioso e influire sulla vita quotidiana. Il clitoride è una zona estremamente sensibile del corpo femminile, in quanto contiene migliaia di nervi. Il dolore può essere descritto come una sensazione di bruciore, pulsante, prurito o addirittura come un colpo o uno spasmo.
Il dolore può diffondersi in tutta la regione genitale o nella pelvi, e può essere accentuato da attività come indossare abiti attillati, fare la doccia o fare pipì.
Le persone che soffrono di clitoridinia possono sperimentare difficoltà a fare esercizio, camminare o stare seduti per lunghi periodi di tempo. Inoltre, molti evitano i rapporti sessuali e hanno problemi nelle relazioni intime.
Se il dolore al clitoride è causato da un’infezione, possono verificarsi altri sintomi come febbre, brividi o dolori muscolari. In rari casi, il dolore al clitoride può essere un segnale di un’emergenza medica e richiedere assistenza immediata.
È importante consultare il proprio medico per valutare le possibili cause del dolore e trovare il giusto trattamento per alleviarlo.
Cause della clitoridinia
Il dolore al clitoride può avere diverse cause. Una delle più comuni è rappresentata dalle perle di cheratina, che si formano quando le normali secrezioni del clitoride si induriscono.
Altre possibili cause possono essere:
- Infezioni vaginali: alcune infezioni, come la candida o la vaginosi batterica, possono causare dolore al clitoride
- Lesioni o traumi: un colpo o una caduta possono causare danni al clitoride e provocare dolore
- Patologie ginecologiche: alcune patologie, come la endometriosi o la vulvodinia, possono causare dolore al clitoride
- Problemi psicologici: lo stress, l’ansia e la depressione possono influire sulla sensibilità del clitoride e causare dolore
Trattamenti per la clitoridinia
Esistono diverse opzioni terapeutiche per trattare la clitoridinia, a seconda della causa sottostante. Tra i trattamenti più comuni possiamo citare:
- Terapia farmacologica: farmaci antinfiammatori, antifungini o antidolorifici possono essere prescritti per alleviare il dolore
- Terapia ormonale: in alcuni casi, la clitoridinia può essere causata da squilibri ormonali, e una terapia ormonale può aiutare a ripristinare l’equilibrio
- Terapia psicologica: se il dolore è causato da problemi psicologici, come lo stress o l’ansia, una terapia psicologica può aiutare a ridurre il dolore
Impatto sulla vita della donna
La clitoridinia, o dolore al clitoride, può avere un impatto significativo sulla vita delle donne che ne soffrono. Il dolore può essere costante o intermittente e può variare in intensità da lieve a grave. Questo può interferire con l’attività sessuale, causando difficoltà nella stimolazione del clitoride e rendendo l’orgasmo doloroso o impossibile.
Inoltre, il dolore al clitoride può interferire con l’attività quotidiana, rendendo scomodo indossare indumenti attillati o fare attività fisica. Alcune donne potrebbero anche sentirsi imbarazzate o imbarazzate a parlare del loro dolore con un medico o un partner sessuale, il che potrebbe impedire loro di ricevere il supporto di cui hanno bisogno.
Per questo motivo, è importante che le donne che soffrono di clitoridinia parlino con il loro medico per identificare la causa sottostante del dolore e trovare un trattamento appropriato. Ci sono molte opzioni di trattamento disponibili, tra cui cambiamenti nello stile di vita, terapia fisica, terapia psicologica, farmaci e interventi chirurgici in casi rari.
Una volta che la causa del dolore viene identificata e trattata, molte donne sono in grado di gestire o eliminare il loro dolore e tornare a una vita sessuale e quotidiana più confortevole.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso
Studio BURDI
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IL VAGINISMO
Quando il corpo dice no: la verità sul vaginismo e come superarlo
È risaputo che il sesso sia un’esperienza piacevole, divertente e ovviamente una della cose più belle in una relazione intima.
Sfortunatamente però per alcune persone il sesso è causa di molto stress e angoscia in quanto può rappresentare un esperienza dolorosa o in alcuni casi addirittura impossibile.
La causa principale di un rapporto sessuale doloroso per le donne è il vaginismo.
Il vaginismo è una condizione che colpisce le donne e che si caratterizza dalla contrazione involontaria dei muscoli vaginali durante il rapporto sessuale o durante la penetrazione. Tale contrazione può rendere il rapporto sessuale molto doloroso o impossibile.
Il vaginismo può avere un impatto significativo sulla vita di una donna, sia a livello fisico che psicologico.
Fisicamente, il vaginismo può causare dolore e disagio durante il rapporto sessuale o anche durante l’esame ginecologico. Questo dolore può portare alla diminuzione dell’interesse per il sesso, alla riduzione della lubrificazione vaginale e, in alcuni casi, anche alla completa evitazione del sesso. Le donne con vaginismo possono anche manifestare problemi di incontinenza e di difficoltà nella stessa defecazione.
Sul piano psicologico, il vaginismo può portare a sentimenti di vergogna, colpa, ansia e frustrazione. Le donne che soffrono di questa condizione possono provare vergogna riguardo al loro corpo e alla loro sessualità, così come ansia e paura nei confronti del sesso.
Inoltre, il vaginismo può anche influire sulla vita di coppia e sulla relazione con il partner, creando tensioni e difficoltà nella comunicazione.
Il vaginismo è definito dalle coppie come “la presenza di un muro” dove dovrebbe trovarsi l’apertura vaginale. Il forte bruciore e disagio provato nei ripetuti tentativi di penetrazione, solitamente fanno si che una coppia alla fine interrompa il rapporto sessuale.
Anche se curabile, molte donne si sentono sole ed incomprese, e spesso si sentono in imbarazzo nel cercare aiuto. Questo perché il vaginismo come la maggior parte dei problemi sessuali viene molto poco discusso.
Le cause del vaginismo possono essere sia fisiche che psicologiche. Tra le cause fisiche rientrano le infezioni vaginali, la menopausa, i traumi vaginali o le cicatrici. Tra le cause psicologiche rientrano invece l’ansia, la paura del dolore durante il rapporto sessuale, la mancanza di informazioni e la presenza di traumi o di esperienze sessuali negative nel passato.
Tipologie di vaginismo
Esistono diverse tipologie di vaginismo, tra cui:
- Vaginismo primario: si verifica quando una donna non è mai stata in grado di avere rapporti vaginali a causa di una contrazione involontaria dei muscoli vaginali.
- Vaginismo secondario: si verifica quando una donna che in passato ha avuto rapporti sessuali vaginali senza difficoltà inizia ad avere difficoltà a causa di una contrazione involontaria dei muscoli vaginali.
- Vaginismo situazionale: si verifica solo in determinate situazioni, ad esempio con un partner specifico o in una particolare posizione sessuale.
- Vaginismo generalizzato: si verifica in tutte le situazioni in cui si tenta di avere rapporti sessuali vaginali.
- Vaginismo associato a cause mediche: può essere causato da problemi di salute, come infezioni vaginali, fibromi uterini o endometriosi.
Il vaginismo a livello psicologico
Sebbene il vaginismo sia spesso considerato un disturbo fisico, ci sono anche fattori psicologici che possono contribuire al suo sviluppo.
Ad esempio, l’ansia da prestazione sessuale, le paure legate alla sessualità o i traumi sessuali passati possono contribuire allo sviluppo del vaginismo.
Inoltre, il vaginismo può essere il risultato di una combinazione di fattori fisici e psicologici. Ad esempio, se una donna ha sperimentato dolore durante la penetrazione a causa di una condizione medica, potrebbe sviluppare un riflesso di contrazione muscolare involontaria per evitare ulteriori danni o dolore, che potrebbe peggiorare nel tempo e diventare vaginismo.
Il vaginismo può essere trattato con successo attraverso una combinazione di terapie fisiche e psicologiche, come l’utilizzo di dilatatori vaginali per allentare la tensione muscolare e la terapia sessuale per aiutare a gestire l’ansia e le paure legate alla sessualità.
Il vaginismo e l’abuso sessuale
L’abuso sessuale può avere molteplici effetti negativi sulla salute mentale e sessuale delle persone, tra cui il vaginismo.
In particolare, le donne che hanno subito abusi sessuali possono sviluppare un riflesso di contrazione involontaria dei muscoli vaginali durante la penetrazione, come forma di protezione contro ulteriori danni o lesioni.
Il vaginismo può essere un sintomo di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) in seguito all’abuso sessuale, o può essere associato ad altri disturbi dell’umore, come la depressione o l’ansia.
Tuttavia, è importante notare che non tutte le donne che hanno subito abusi sessuali sviluppano vaginismo. La risposta al trauma sessuale è altamente individuale e dipende da molteplici fattori, tra cui la gravità e la durata dell’abuso, l’età in cui è avvenuto e il supporto emotivo e psicologico ricevuto dopo l’evento.
Il trattamento del vaginismo nelle donne che hanno subito abusi sessuali richiede spesso una particolare attenzione e cura da parte degli operatori sanitari, poiché può essere associato ad ansia, paura, vergogna e altri problemi emotivi che richiedono un approccio integrato che coinvolga psicologi e terapeuti specializzati.
Disturbi dell’umore collegati al vaginismo
I disturbi dell’umore, come la depressione e l’ansia, possono essere collegati al vaginismo.
Le donne che soffrono di depressione o ansia possono avere difficoltà a rilassarsi durante il rapporto sessuale e possono avere difficoltà a provare piacere sessuale. Inoltre, l’ansia associata al vaginismo può causare una sensazione di panico o di incapacità di controllare i propri muscoli vaginali.
D’altra parte, il vaginismo può causare stress e frustrazione, che possono portare a disturbi dell’umore come la depressione.
La difficoltà a avere rapporti sessuali può anche portare a problemi di relazione e isolamento sociale, che possono peggiorare ulteriormente i sintomi depressivi o ansiosi.
È importante notare che il vaginismo non è una conseguenza diretta della depressione o dell’ansia, ma è piuttosto una risposta fisica e psicologica a fattori che possono includere anche problemi di autostima, relazionali o di disfunzione sessuale.
Tuttavia, il trattamento dei disturbi dell’umore può aiutare a ridurre i sintomi di ansia e depressione associati al vaginismo, migliorando la qualità della vita sessuale e relazionale delle donne che ne soffrono. Inoltre, il trattamento del vaginismo può anche migliorare la salute mentale e il benessere generale della persona.
Il vaginismo: un circolo vizioso
Il ciclo del dolore associato al vaginismo può essere descritto come segue:
- Anticipazione dell’esperienza dolorosa: la donna che soffre di vaginismo può anticipare il dolore associato al rapporto sessuale. Questa anticipazione può causare ansia e paura.
- Contrazione involontaria dei muscoli vaginali: quando la donna viene stimolata sessualmente o quando tenta la penetrazione, i muscoli della vagina si contraggono involontariamente. Questa contrazione può essere così forte da rendere impossibile la penetrazione.
- Dolore durante la penetrazione: a causa della contrazione dei muscoli vaginali, la penetrazione può diventare molto dolorosa. Questo dolore può ulteriormente aumentare l’ansia e la paura della donna.
- Evitamento del rapporto sessuale: a causa dell’esperienza dolorosa, la donna può evitare il rapporto sessuale. Questo evitamento può portare a problemi di intimità e di relazione.
- Continua anticipazione del dolore: a causa dell’esperienza dolorosa passata, la donna può continuare ad anticipare il dolore durante il rapporto sessuale. Questa anticipazione può ulteriormente aumentare l’ansia e la paura e aggravare il ciclo del dolore.
Il ciclo del dolore associato al vaginismo può diventare un circolo vizioso che porta a un aumento dell’ansia e del dolore.
Approccio al trattamento
Poiché il vaginismo è una condizione involontaria che si autoalimenta, normalmente non si risolverà spontaneamente se non adeguatamente affrontato.
Fortunatamente, attraverso un trattamento efficace, le donne affette da vaginismo possono imparare a controllare e rilassare la reazione muscolare iperreattiva che è caratteristica della condizione.
Mentre la donna (e il suo partner) possono stabilire un primo contatto con un sessuologo/psicologo, l’approccio terapeutico ottimale è multidisciplinare, e di solito prevede la collaborazione di uno o più altri professionisti della salute.
Di solito è necessario rivolgersi a un ginecologo/medico di base per l’indagine sui fattori di rischio fisiologici.
Dopo il consulto ginecologico, è spesso opportuno che il cliente venga valutato e curato da un fisioterapista specializzato nella funzionalità del pavimento pelvico. Il fisioterapista svolge un ruolo fondamentale nell’addestrare e supportare la cliente nel rilassamento muscolare e nell’utilizzo dei dilatatori vaginali. Questo processo avviene in concomitanza con il lavoro del sessuologo che si concentra sulle questioni psicologiche del dolore, del sesso, dei fattori individuali e delle dinamiche di coppia.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso
Studio BURDI
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Superare l’amaxofobia (la paura di guidare)
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’AMAXOFOBIA (LA PAURA DI GUIDARE)
Cos’è l’amaxofobia
L’amaxofobia, o la paura di guidare, è un disturbo che può presentarsi come fobia singola o può inserirsi in un quadro psicologico più ampio, spesso correlato ad altre fobie, quali l’agorafobia, la claustrofobia e ad altri disturbi ansiosi, come l’ansia generalizzata, l’ansia sociale, l’ansia di separazione.
In alcuni casi, l’amaxofobia può essere la conseguenza di un trauma in seguito ad un incidente, vissuto in prima persona o al quale si è assistito.
E’ interessante notare che la paura di guidare non è una paura senza fondamento, esiste obiettivamente un potenziale pericolo associato alla guida di un veicolo, di cui è bene essere consapevoli, tuttavia nell’amaxofobia la paura prende delle proporzioni eccessive e invalidanti, poiché il soggetto prospetta eventi catastrofici e irreparabili, spesso irrealistici.
Essa si traduce in sintomi quali tremori, sudore, nodo alla gola, battiti accelerati, difficoltà di respirazione, associate a idee angoscianti, che possono poi sfociare in veri e propri attacchi di panico.
In generale le persone che hanno questo disturbo utilizzano delle strategie di evitamento, quali l’utilizzo di altri mezzi di trasporto o la dipendenza per gli spostamenti da amici e familiari.
Tuttavia laddove le strategie di evitamento siano difficilmente praticabili, l’amaxophobia può risultare fortemente invalidante.
In molti casi la persona, terrorizzata dalla guida, finisce per dipendere da altri soggetti per i propri spostamenti, ottenendo in tal modo (più o meno consapevolmente) la vicinanza funzionale delle persone care, oppure finisce per isolarsi e chiudersi in un perimetro di oggetti vicini e familiari, potenzialmente sicuri.
Sebbene il risultato sia lo stesso in termini di incapacità oggettiva a intraprendere la guida, in pratica l’amaxofobia può sottendere paure diverse correlate alla situazione di trovarsi da soli nella gestione del mezzo: paura di perdere il controllo, di investire e/o uccidere qualcuno, di causare un incidente grave, paura della velocità, paura di non poter fuggire, paura di attraversare viadotti o tunnel, paura di allontanarsi da casa.
Possiamo dire che vi è globalmente una distorsione cognitiva in cui vi è e una sovrastima della probabilità che un pericolo importante si presenti e una sottostima della propria capacità di gestire la situazione. Anzi, in molti casi il soggetto amaxofobo, identifica nella propria persona la fonte del pericolo stesso.
L’amaxofobia va dunque a toccare una rappresentazione, quella della propria incompetenza nella gestione di una situazione specifica che implica un ruolo di “conducente”. Per questa ragione essa ha spesso anche un valore simbolico rispetto ad altri ambiti della vita.
Infatti non è trascurabile l’impatto nell’insorgenza di tale fobia, di aspetti di attribuzione di ruolo sviluppati in particolari contesti familiari e/o culturali, che devono essere presi in considerazione in modo privilegiato nell’approccio terapeutico del disturbo stesso.
Infine, nell’amaxofobia si attiva in maniera dirompente il senso della propria fragilità esistenziale, spesso rimosso in altre attività della vita quotidiana,
Questi aspetti rivelano da un lato una problematica nell’investimento interno: l’utilizzo di un mezzo di trasporto solidale con il proprio corpo, è percepito come estensione di sé e pertanto inaffidabile, incontrollabile e potenzialmente auto ed etero-lesivo. Dall’altro evidenziano anche una problematica nell’investimento esterno, dove la frustrazione derivante dagli oggetti esterni, potrebbe essere verosimilmente all’origine del proprio senso di inadeguatezza e di incompetenza.
Come si cura
Per il trattamento dell’amaxofobia, dal punto di vista sintomatico, è di fondamentale importanza aiutare il paziente a trovare quegli strumenti idonei a ripristinare il senso di sicurezza e di fiducia in sé stesso e nella propria capacità di investirsi positivamente in una realtà più ampia del perimetro consolidato.
In particolare la psicoterapia può aiutare il paziente a riacquisire la consapevolezza delle proprie competenze
-valorizzandone il potenziale
– evidenziando le distorsioni cognitive proprie, familiari e/o culturali che possono avere favorito il consolidamento del disturbo
-stimolando il superamento progressivo di alcune limitazioni che il paziente vive nella sua quotidianità e favorendo in questo modo la qualità e la quantità degli investimenti esterni
Il lavoro psicoterapeutico può essere coadiuvato dall’ipnoterapia, la cui efficacia è stata dimostrata nel trattamento di diverse fobie specifiche. Questa permette infatti di generare sicurezza nel paziente, favorendo l’accesso alla consapevolezza delle proprie paure e ad un maggiore controllo dei propri stati ansiosi a queste connessi (1).
A supporto della psicoterapia può inoltre essere presa in considerazione la terapia in realtà virtuale, VRT (Virtual Reality Therapy), che consiste nell’immergere il paziente in un’esperienza virtuale in 3D. L’esperienza di guida così riprodotta consente al paziente di affrontare progressivamente le situazioni ansiogene in un ambiente sicuro.
Qualora l’insorgenza del disturbo fosse correlata ad un’esperienza traumatica, è bene piuttosto considerare trattamenti terapeutici specifici per il trattamento del trauma come la terapia di desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) od il Somatic experiencing(2) mirate al trattamento dello stress post-traumatico e alla riduzione della carica emotiva dei ricordi disturbanti.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
- Spiegel, E.B. (2016) International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis, 64(1), 45-74
- Levine, P. A. (2010). In an unspoken voice: How the body releases trauma and restores goodness. North Atlantic Books.

Superare l’ansia anticipatoria
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’ANSIA ANTICIPATORIA
Cos’è l’ansia anticipatoria
L’ansia anticipatoria è spesso un sintomo correlato ad altri disturbi ansiosi, come l’ansia generalizzata, l’ansia sociale, l’ansia di separazione, che può anche essere correlato a particolari tipo di personalità come ad esempio la personalità evitante o dipendente.
In generale si può definire come una forma di angoscia proiettata esclusivamente verso il futuro e più precisamente, come per altri disturbi di ansia, si manifesta come una paura di essere sorpresi da un evento “orribile” (secondo il sistema di valori di chi la prova) in grado di generare a sua volta una paura insostenibile: si tratta quindi di una paura della paura.
Il sintomo dell’ansia anticipatoria sussiste in quanto, seppur generando una grande sofferenza, fornisce una momentanea illusione di poter scampare all’evento orribile e alla paura, preoccupandosene anticipatamente.
Nel contesto culturale in cui viviamo anticipare il futuro per essere pronti alle eventualità della vita è un atteggiamento considerato normale. Immaginare di aver previsto e di essere quindi in grado di gestire le varie possibilità ha un effetto rassicurante e consente di affrontare con un certo margine di serenità sia lo svolgimento delle attività quotidiane, sia altre attività più eccezionali come fare una presentazione in pubblico, partire in viaggio, cambiare un lavoro etc.
Considerate quindi le premesse culturali che in qualche modo coadiuvano la comparsa di questo tipo di disturbi, nel caso specifico le persone che soffrono di ansia anticipatoria sono persuase del fatto che naturalmente l’eventualità più probabile nel futuro sarà anche la peggiore.
Queste persone immaginano sistematicamente che il peggio sarà ciò che sicuramente accadrà loro rimanendo in questo modo sommerse dalle sensazioni di impotenza e di orrore che scaturiscono dalle proprie proiezioni.
Inoltre molto spesso l’evento temuto finisce proprio per concretizzarsi a causa dell’ansia e del turbamento che pervadono la persona nel momento in cui si trova nella situazione da affrontare e il cui scenario catastrofico era stato immaginato precedentemente.
Bloccate e sofferenti dal punto di vista psicologico, per evitare la paura il paziente mette in atto una serie di strategie disfunzionali (evitamento delle situazioni, ricerca permanente del sostegno esterno etc.)che hanno come risultato quello di amplificare la sensazione di mancanza di controllo e quindi la paura stessa, inficiando fortemente la qualità della vita.
Come si cura
Per poter affrontare le problematiche invalidanti legate all’ansia anticipatoria e alla paura è bene tener conto del fatto che la paura è il risultato di un meccanismo di difesa ancestrale, messo in atto dalla componente più arcaica del nostro cervello sulla quale la parte più evoluta ha un debole controllo. Inoltre, è necessario considerare che l’ansia anticipatoria, seppur disfunzionale, è a sua volta una strategia di difesa dalla paura stessa.
Lavorare sulla razionalizzazione delle proprie paure risulta quindi molto spesso infruttuoso, mentre risalire alle cause della paura può da solo non essere sufficiente a scardinare una strategia difensiva consolidata da tempo.
Gli approcci terapeutici oggi più efficaci per il trattamento dei disturbi ansiosi, lavorano pertanto su altri aspetti che riguardano l’accettazione delle proprie emozioni e la realizzazione concreta attraverso il vissuto, di un nuovo modo di relazionarsi con la realtà che va a scardinare operativamente le vecchie strategie disfunzionali (1). Illustriamo qui brevemente i punti principali di tali approcci:
–Il riconoscimento della funzionalità del sintomo ansioso come strategia di difesa dalla paura.
Il riconoscimento della funzione strategica di ciò che si sta vivendo, consente una parziale distanziamento dal sintomo, nel nostro caso l’ansia anticipatoria, e apre in qualche modo all’esistenza di altre strategie possibili. Questo lavoro di consapevolezza può essere coadiuvato dalla compilazione di un diario di bordo, supervisionato dal terapeuta.
–Il lasciare lo spazio alla paura e entrare in contatto con le sensazioni che anche a livello fisico questa genera.
Accettare di avere paura e lasciare a questa emozione lo spazio di esistere, consente di allentare le tensioni aggravate dai tentativi infruttuosi di rimuoverla.
Particolarmente rilevanti per lo sviluppo di tale attitudine sono i protocolli terapeutici mindfulness-based.
Diversi studi di neuroscienze hanno in effetti messo in rilievo l’importanza dello sviluppo della consapevolezza delle proprie sensazioni fisiche nel momento presente e della relazione corpo/emozioni nel ripristino di un controllo da parte del cervello più evoluto, la nostra corteccia, sul cervello primitivo.
In particolare le pratiche basate sulla mindfulness sono in grado di incrementare la capacità di regolazione delle proprie emozioni (2) ed hanno un effetto positivo sulla capacità di inibire il comportamento automatico e reattivo(3),
-Il rimodellamento della percezione della realtà e di sé stessi per attuare nuove modalità di interazione
Ciò viene realizzato favorendo nel paziente la consapevolezza che vi sono diverse rappresentazioni possibili e promuovendo l’attuazione di azioni e comportamenti concreti più funzionali, attraverso suggestioni terapeutiche.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
- Nardone, G. (2010). Paura, panico, fobie. Ponte allegrazie.
- Tang, Y. Y. (2017). The neuroscience of mindfulness meditation: How the body and mind work together to change our behaviour.
- Pozuelos, J. P., Mead, B. R., Rueda, M. R., & Malinowski, P. (2019). Short-term mindful breath awareness training improves inhibitory control and response monitoring. Progress in brainresearch, 244, 137-163.

Superare l’ipocondria
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’IPOCONDRIA
Cos’è l’ipocondria
La caratteristica fondamentale dell’ipocondria o ansia di malattia, è la preoccupazione o la persuasione di essere gravemente malati al minimo sintomo fisico sospetto.
L’aspetto fondamentale dell’ipocondria è che tale convinzione persiste a dispetto delle rassicurazioni mediche e di esiti diagnostici negativi.
Di fatto è corretto parlare di ipocondria solo nel caso in cui le valutazioni mediche abbiano consentito di escludere la malattia reale, sebbene vi possano essere forme di ipocondria legate ad un’ansia eccessiva in presenza di un disturbo organico non grave.
Se i problemi di salute possono essere immaginari, di fatto l’angoscia che questi generano non lo è e l’ipocondria è un serio disturbo in grado di inficiare gravemente la qualità della vita di una persona.
Cause dell’ipocondria
L’ipocondria è un disturbo complesso le cui cause possono essere difficili da stabilire.
Secondo la teoria psicoanalitica di Freud(1) all’origine dell’ipocondria vi sarebbe la frustrazione legata all’impossibilità di trovare il soddisfacimento delle proprie pulsioni in oggetti esterni; ciò comporterebbe a lungo termine l’investimento in oggetti di natura interna, nel caso particolare il corpo, il soma.
La libido, parzialmente ritirata dagli oggetti esterni viene investita nel corpo, che diventa pertanto ciò che consente di mantenere e di scaricare la propria energia pulsionale.
Il ruolo vitale assunto dal corpo in questo senso determinerebbe a lungo termine la forte preoccupazione per la sua deteriorazione e la paura della malattia.
All’origine del disturbo vi sarebbe quindi prevalentemente la frustrazione derivante dagli oggetti esterni, tipicamente vissuti di trascuratezza, un ambiente familiare assente o falsamente presente nella fase dello sviluppo.
Da notare che l’ipocondria può essere accentuata in situazioni di allontanamento dagli oggetti familiari e può riguardare il proprio corpo o quello delle persone care, dei figli.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante in quanto pone l’accento sulla possibile trasmissione familiare/transgenerazionale dell’ipocondria e del modello di relazione oggettuale tipicamente ipocondriaco.
Ciò delinea pertanto tra le possibili cause dell’ipocondria, anche quella di un disturbo mutuato da figure parentali o figure significative dell’ambiente familiare.
Infine il ri-orientamento dell’investimento oggettuale da esterno ad interno, può insorgere anche come conseguenza di un trauma, legato ad una minaccia esistenziale personale o assistita in una fase precoce dello sviluppo: l’aver sofferto di una malattia o l’aver assistito alla malattia grave o al decesso di una persona cara.
La consapevolezza precoce della morte e della precarietà esistenziale, in assenza degli strumenti per fronteggiare le angosce che queste generano, possono tradursi in un ritiro dell’investimento esterno e in un ripiegamento sull’oggetto interno, il corpo, nel tentativo di ripristinare una forma di controllo che di fatto rimane permanentemente insoddisfatta.
Sintomi dell’ipocondria
L’ipocondria si manifesta in maniera costante con l’eccessiva preoccupazione per la presenza di dolori di vario tipo (crampi muscolari, dolori viscerali etc.) o alterazioni fisiche di lieve entità (macchie sospette, raffreddori etc.), ma si può manifestare anche sotto forma di vere e proprie crisi di angoscia.
La minima manifestazione fisica è interpretata dall’ipocondriaco come sintomo di una malattia grave, potenzialmente mortale.
Spesso è proprio la paura di essere malati a generare alcune reazioni fisiche (giramenti di testa, palpitazioni), fino alla crisi di angoscia acuta o all’attacco di panico.
Per essere rassicurato il paziente ipocondriaco consulta spesso siti internet e blog che trattano le tematiche della salute o si sottopone a ripetuti controlli medici.
Sebbene più raramente, alcune persone ipocondriache evitano i medici, con il rischio di non rilevare e non curare una malattia reale.
Per chi soffre di ipocondria, il timore della malattia costituisce un elemento essenziale della propria identità, attraverso cui questa si esprime, per cui spesso i sintomi diventano una forma di risposta agli stress esistenziali.
Cura dell’ipocondria
La presa di coscienza del disturbo è da considerarsi già un primo passo del processo terapeutico.
La psicoterapia può aiutare in prima istanza il paziente a controllare la sintomatologia, attraverso il rispetto di una serie di regole e l’applicazione di alcune strategie.
In seconda istanza la psicoterapia può consentire al paziente di assumere una nuova consapevolezza del disturbo in relazione alla propria storia personale e familiare, e ad individuare quali elementi della propria vita presente siano in grado di alimentare o ridurre i sintomi, agendo su di questi.
In alcuni casi la psicoterapia, può operare nel senso di una maggiore familiarità con l’idea della malattia e dell’ineluttabilità della morte, incoraggiando ad esempio il paziente a recarsi al cimitero per esporsi alla realtà e ridurre le ruminazioni che di fatto non sono in grado di evitare il pericolo.
Relativamente alle regole e alle strategie di controllo dei sintomi è molto importante che il paziente impari a sottrarsi alla consultazione compulsiva di pagine di informazione e blog sulla salute in internet, e a resistere al desiderio, magari rimandandolo, di effettuare ripetute attività di autoverifica del proprio stato di salute, come sentirsi il polso, controllare la temperatura etc. che non fanno altro che alimentare l’ansia, il timore della malattia e la prospettiva di scenari catastrofici.
Nel quadro del lavoro terapeutico è di importanza strategica lo sviluppo nel paziente di un atteggiamento di osservatore rispetto al decorso dei sintomi, in particolare imparando a riconoscere quando questi si acuiscono, in corrispondenza di quali eventi/situazioni. Può essere utile eventualmente annotare quotidianamente alcune di queste osservazioni. Diventare l’osservatore attivo e non passivo del proprio sintomo, consente infatti di iniziare a mettere una certa distanza tra sé e il sentimento di paura che questo genera.
Questa qualità di osservazione può essere favorita in particolare, oltre che dal dialogo psicoterapeutico, dai protocolli Mindfulness per la riduzione dell’ansia e dello stress (Mindfulness Based Stress Reduction), che hanno ottenuto notevoli riscontri anche nel trattamento dell’ipocondria (2).
Anche la pratica di attività fisica costituisce un valido aiuto nel processo terapeutico. Questa infatti può contribuire a ritrovare sensazioni fisiche reali e a recuperare una relazione di fiducia con il corpo e una visione di questo come veicolo di benessere e non solo di malattia. Particolarmente indicate sono la pratica dello yoga e delle arti marziali (3), che richiedono un’elevata consapevolezza e padronanza del corpo, alcune di queste attività sono incluse di fatto nel quadro dei protocolli Mindfulness.
In generale è importante adottare una buona igiene di vita e trovare altri centri di interesse oltre alla salute, fissandosi ad esempio degli obiettivi diversificati.
Infine laddove l’ipocondria si potesse correlare ad un vissuto traumatico, è utile il ricorso alla terapia di Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) una terapia mirata al trattamento dello stress post traumatico basata sull’utilizzo di movimenti oculari ed altre tecniche di stimolazione con lo scopo di ridurre la carica emotiva di ricordi disturbanti.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
1.S.Freud: Introduzione al Narcisismo, Opere, Boringhieri, Vol 7
- Chappell, A. S. (2018). Toward a lifestyle medicine approach to illness anxiety disorder (formerly hypochondriasis). American Journal of Lifestyle Medicine, 12(5), 365-369.
3 Zhang, J., Qin, S., Zhou, Y., Meng, L., Su, H., & Zhao, S. (2018). A randomized controlled trial of mindfulness-based Tai Chi Chuan for subthreshold depression adolescents. Neuropsychiatric disease and treatment. Neuropsychiatric disease and treatment, 14, 2313.
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L’abbraccio
La struttura ossea del carattere
Quando abbracci, non ti slanci semplicemente verso una persona,
ma abbracci la sua storia. Abbracci il suo vissuto, la sua sofferenza, le sue fatiche, la sua caparbietà la capacità di cadere e di rialzarsi, quando abbracci una persona abbracci la sua anima, la sua vicinanza a se, alla sua umanità, tocchi a pelle l’ empatia, ma fa vibrare anche te, ti rende migliore, ti lascia tanto più vicino a te. C’è la divinità in un abbraccio.
È un effetto che non lo raccogli solo con chi ti è più vicino, ma innanzitutto con chi non conosci, è tanto più diverso da te, un abbraccio distrugge le distanze, quelle ideologiche, religiose, quelle del buono o del cattivo, del ricco o del barbone, anzi quello più lontano lo avverti tanto più vicino perché la lontananza in un abbraccio azzera i formalismi, sperimenti l’ essenziale, la nudità di essere umani.
L’ abbraccio è irrefrenabile, non è programmabile, tranne nei convenevoli, nasce da una potenzialità calamitosa emotiva, azzera in un istante l’ impossibile, l’ irraggiungibile, i due si ritrovano in uno, diventa un incontro in un numero uno compassionevole. Esso rappresenta la più elevata partecipazione extra verbale alla vita dell’ altro, si fa incastro, sentire profondo, supporto, presa in carico, condivisione, l’ abbraccio è ricevere la sensazione della squadra intorno a se.
L’ abbraccio, più duraturo è, più produce serotonina, ossitocina, gli ormoni del piacere e dell’ amore, rappresenta l’ anti stress, un mio rilassante ed un conforto naturale. Una terapia del dolore.
Esso più dell’ alimentazione, del denaro o del tetto, rappresenta il cibo della rassicurazione, del non essere solo, dell’ auto stima, del patto nelle relazioni. Una persona senza abbracci, sviluppa cattiveria, fobia sociale, anaffettività, si imbarazza e si vergogna per la sua inadeguatezza.
Senza gli abbracci si snatura in una dispercezione ed una distorsione del se corporeo, ci ci si guarda ed osserva di meno, avvia processi dismorgobici. L’ abbraccio possiede una radice onto genetica auto aggregante, è pulsionale ed istintivo; responsabile dell’ abbraccio è la sostanza reticolare del nostro snc, che ricerca insistentemente gratificazioni;
Il bimbo che piange per essere preso in braccio, istintivamente richiede rassicurazioni; nella fase della prima infanzia, le rassicurazioni mancate, dell’ abbraccio, predispongono, nel richiederle per tutta l’ esistenza o al distacco.
Secondo Bion, l’abbraccio rappresenta quel contenitore che placa frustrazioni ed angosce, che in esso verrebbero scaricate e condivise, generando il senso di pacatezza e protezione.
L’ abbraccio rappresenta una forma di dedizione all’ altro, è il punto di confine e di neutralità tra egoismo ed altruismo, la partecipazione diviene congiunzione e disgregazione della solitudine.
La sensazione fobica e fastidiosa della solitudine è la difficoltà di incontrare se stesso, percepito come estraneo a sé, verso il quale avverte la vergogna e l’ imbarazzo tipico per l’ estraneo.
Il primo estraneo che il bambino potrebbe aver subito è la madre o/e il padre distanti, tali da percepire l’ estraneità rispetto a se stessi e pertanto percepire la propria solitudine.
L’ abbraccio, pertanto, in psicologia rappresenta quel primo cibo mentale, l’ amore per sé, fortificante come gli elettroliti, le proteine e i carboidrati, tali da costituire la struttura ossea robusta del carattere del soggetto.
giorgio burdi
Psicologo Bari – Psicoterapeuta Bari

SUPERARE LA DISMORFOBIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DISMORFOFOBIA
Cos’è la dismorfofobia
La dismorfofobia è un disturbo ossessivo dell’immagine corporea spesso poco conosciuto e dunque poco diagnosticato, che presenta aspetti comuni ad altri disturbi dello spettro ossessivo compulsivo.
Il corpo è al centro delle preoccupazioni, in particolare si ha fissazione su una o su più parti del corpo che sono percepite e considerate come imperfette, difettose.
Le preoccupazioni riguardano principalmente il viso, ma possono riguardare anche altre parti del corpo, diverse nel corso del tempo.
Ad esempio i pazienti possono temere una perdita di capelli, le rughe, le cicatrici, una peluria eccessiva, oppure possono focalizzarsi sulla forma e le dimensioni del naso, della bocca, dei denti, delle orecchie, del seno etc.
Il difetto, che può essere oggettivamente insignificante, viene percepito in maniera esagerata e catastrofica. Si riscontra infatti nei pazienti un fenomeno di alterazione della percezione, come se la parte del corpo incriminata fosse sproporzionalmente ingrandita e tirata fuori dal contesto del resto del corpo, il cosiddetto effetto zoom. Di conseguenza anche le preoccupazioni che questa suscita risultano sproporzionate rispetto alla realtà e finiscono per invadere i pensieri e la vita del paziente fino a diventare invalidanti.
Poiché vi è la convinzione che la propria percezione sia corretta, i pazienti sono ossessionati dalla paura che gli altri possano vedere il difetto, con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche, quali la ridicolizzazione o addirittura l’abbandono.
Per neutralizzare l’angoscia generata da tali paure il paziente è portato a mettere in atto una serie di strategie e di comportamenti, come ad esempio l’osservare, il correggere o il nascondere compulsivamente il difetto o l’evitare le relazioni con gli altri, strategie che riducendo le occasioni di confronto con la realtà, hanno spesso come risultato quello di alimentare ulteriormente la sofferenza e la paura.
Cause
Dal punto di vista psicologico si ritiene che il disturbo della dismorfofobia sia legato a problematiche dello sviluppo identitario della persona.
Possiamo dire che l’identità di una persona sia il risultato del temperamento e delle relazioni, delle esperienze di vita che si intrecciano inesorabilmente dando un risultato unico.
Nel caso della dismorfofobia la propria apparenza acquisisce un peso sproporzionato nella definizione della propria identità. I pazienti sono eccessivamente esigenti verso se stessi, in un’estenuante e frustrante ricerca di perfezione e di ideali fisici impossibili. Spesso timidi e ansiosi, essi temono l’intimità e la prossimità affettiva. Quest’ultimo aspetto legato alla fondamentale paura di essere respinti o abbandonati può essere abilmente celato da un apparente disinteresse o distacco emotivo nelle relazioni affettive.
E’ inoltre presente una fondamentale scarsa stima di sé, i pazienti inoltre sottovalutano spesso la propria bellezza e sopravvalutano quella degli altri.
Si ritiene che all’origine del disturbo possano esservi delle esperienze ad elevato impatto emotivo vissute nella fase dello sviluppo, come cadute o umiliazioni in pubblico, ripetute considerazioni e battute subite riguardo il proprio aspetto fisico.
Rilevanti per il disturbo sono anche traumi di tipo relazionale o relazioni poco gratificanti all’interno e/o fuori dal nucleo familiare, l’aver sperimentato ripetutamente un non sentirsi abbastanza che, proiettato nel dettaglio fisico difettoso, fondamentalmente incorreggibile, continua a perpetuare la frustrazione e l’insoddisfazione.
Oltre alle cause psicologiche della dismorfofobia, non vanno trascurati i fattori culturali che esercitano una forte pressione verso un modello di bellezza unico ed irrealistico e i fattori di tipo neurobiologico che possono coadiuvare il disturbo.
In particolare alcune ricerche hanno evidenziato nel caso della dismorfofobia l’esistenza di deficit a livello del trattamento visivo globale dell’immagine e a livello dell’interpretazione delle espressioni facciali e delle emozioni altrui, fattori che contribuiscono ad alimentare la persistenza del disturbo.
Sintomi:
Il paziente passa generalmente diverse ore al giorno a preoccuparsi dei propri presunti difetti e spesso pensa di essere osservato e ridicolizzato per questo dagli altri.
La maggior parte dei pazienti si guarda spesso allo specchio, alcuni lo evitano, altri alternano i due comportamenti.
Altro tipo di comportamento compulsivo è il confronto del proprio aspetto con quello degli altri, e l’uso, per mascherare i difetti, di cosmetici, cappelli o indumenti ampi e coprenti.
Molti intraprendono trattamenti dermatologici o chirurgici non risolutivi che al contrario spesso producono il risultato di intensificare le preoccupazioni.
Le persone affette da dismorfofobia sono a disagio a causa del proprio aspetto fisico e possono evitare per questo di uscire in pubblico. Le attività scolastiche, lavorative e sociali ne possono risultare parzialmente o gravemente compromesse. Alcune persone escono solo di notte, alcune non escono affatto.
Sono spesso presenti sentimenti ed emozioni caratterizzate da ansia e depressione, più a meno pronunciate. Nei casi più gravi possono manifestarsi comportamenti suicidari.
Il grado di consapevolezza del disturbo è generalmente assente. La maggior parte dei pazienti è sinceramente convinta che la parte del corpo incriminata sia non attraente o addirittura ripugnante. Nei casi più gravi si possono osservare anche derive verso convinzioni deliranti.
Cura
Per il trattamento della dismorfofobia è necessario lavorare su diverse dimensioni del disturbo, quella cognitiva, quella emotiva e quella motivazionale.
Il lavoro sulle consapevolezze di ordine cognitivo/percettivo
Per la cura della dismorfofobia è essenziale lavorare con il paziente sulla presa di coscienza del disturbo, in particolare sulla componente relativa alla percezione visiva alterata del proprio corpo e sugli errori cognitivi che questa visione comporta, errori che si riflettono sulla rappresentazione distorta di sé, degli altri e della realtà.
In particolare il contesto terapeutico deve aiutare il paziente a familiarizzare con il concetto di realtà oggettiva e rappresentazione della realtà e a prendere coscienza della differenza tra le due, nei vari ambiti dell’esistenza ed in particolar modo nell’ambito del disturbo.
In particolare il processo comprende l’identificazione delle distorsioni cognitive, la messa in dubbio delle percezioni e delle credenze che il paziente ha sul proprio aspetto fisico, l’acquisizione di una visione più equilibrata (effetto di riduzione dello zoom patologico) e l’apertura a nuove possibilità.
Il lavoro sulle consapevolezze di ordine attitudinale/emotivo
Altri aspetti fondamentali nella cura della dismorfofobia sono:
il coming out delle componenti attitudinali ed emotive sottese alla percezione distorta, fonte di sofferenza, quali la scarsa stima di sé, la paura di essere giudicati e abbandonati;
la presa di coscienza delle radici di tali attitudini/emozioni, tramite la ricostruzione della storia del loro sviluppo.
La definizione delle motivazioni al cambiamento
Il riconoscimento del fatto che l’eccessivo perfezionismo e l’ipersensibilità al cambiamento, eretti come baluardo di protezione dal giudizio altrui e dall’abbandono, trascinano inesorabilmente il paziente in un loop che alimenta il proprio senso di inadeguatezza e legittima in qualche modo il potenziale tanto temuto abbandono, rappresenta un fattore motivazionale essenziale per il cambiamento da operare nell’ambito terapeutico.
E’ importante che queste ed ulteriori motivazioni siano definite chiaramente dal paziente con l’aiuto del terapeuta e che le eventuali progressive conquiste siano valorizzate via via nell’ambito del percorso.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

L’ ODIO
L’odio: un’emozione insolita, pericolosa per la salute
Questo è un tema molto antipatico e ostico da trattare, sul quale esiste poca letteratura. L’etimologia del termine odio deriva dal greco ὠθέω (otheo) colpire, ferire, = respingere, e dal latino odium. repulsione, rifiuto, allontanamento; possiede, a mio avviso, una connotazione più emotiva derivante da due desinenze, ( o ) stupore e ( dio ) sgomento che invoca. L’ odio si genera come una invocazione di terrore e di paura, una richiesta di esortazione e di aiuto disperato, dettata dallo sgomento che porta ad impreca, oddio.
L’ odio reclama l’ invocazione verso il bene assoluto, al senso di giustizia, verso il padre tutelatore degli equilibri, per mezzo di una paura che non da via di scampo. L’ odio è una emozione potentissima, ma fortunatamente rara per il suo genere, rispetto alle altre molto più presenti.
In virtù di quella intelligenza umana, orientata prevalentemente verso la bontà, per via dei fattori della civilizzazione, della socializzazione e del rispetto civico dell’ uomo, l’ amore e il rispetto per il proprio simile, sono di gran lunga più presenti e superiori al sentimento dell’odio. Basta considerare il numero dei dittatori, degli anti sociali e dei narcisisti patologici presenti sul globo, rappresentano una percentuale insignificante rispetto a tutta la sua specie.
Personalmente abbiamo raramente e tanto meno odiato, rispetto a quanto abbiamo voluto bene e cercato la serenità. L’ odio è uno dei più potenti precursori delle malattie psicosomatiche, generatore di inquietudine, di fortissime ansie e di squilibrio personale, esso fa ammalare; abbiamo provato tante più paure, sofferenze, disgusti e gioie, ma raramente l’ odio, questo perché possediamo una naturale inclinazione verso quelle pulsioni positive relative dettate alle gratificazioni, dal piacere e dall’’ integrazione sociale.
In realtà l’estremizzazione della ricerca del piacere, del potere, le cattive valutazioni, e le proiezioni, conducono alle condizioni che generano l’odio.
L’ emozione dell’odio emerge come grido disperato per condizioni di prepotenza, prevaricazione, soperchieria, sopruso, torto che rivendicano la giustizia, l’odio, rappresenta una resa finale.
L’ odio rappresenta la consapevolezza che non c’è più nulla da fare, che tutto è stato compiuto e, tentato e ritentato, non vede speranza per una prospettiva futura. Esso è il confine tra la versatilità e l’ irreversibilità in una relazione. Chi odia, è convinto delle proprie convinzione e del torto subito, delle controversie senza precedenti, è consapevole di aver investito tanto, ma sorpreso dell’ avversione inaspettatamente subita.
L’odio si manifesta difronte all’ irriconoscenza, alla subdola manipolazione. Viene manifestato innanzitutto verso un crimine, un omicidio, un sequestro, un furto, o una violenza sessuale. L’odio è comunque un meccanismo auto protettivo che pone un confine tra salute e malattia, ma la persistenza nell’ odio diviene, come detto, il precursore della malattia .
Chi giunge all’ emozione estrema dell’ odio, brama vendetta, per una giustizia che non ha avuto seguito, l’odio in se nella sola manifestazione emotiva è auto giustiziera, non si da pace fintanto che non vedrà l’ aguzzìno steso, non si va comunque da nessuna parte perché produce manifestazioni psicologiche come le condotte magiche, superstiziose, esoteriche, pensieri con ritualità magiche, con epiteti, bestemmie, maledizioni, con fattucchieri, maghi, l’odio richiamo l’ odio, la vendetta, è attivare un boomerang che prima o poi ritorna con la distruttività, l’ omicidio, condizioni fuori da qualsiasi logica umana, nel tentativo oscuro di procurare del male. Il bene prolifera il bene.
Chi si fa odiare o chi odia, vive malissimo, vive nella nebbia, nella tempesta, nella confusione mentale, vive per un sola dimensione, far soffrire e farla pagare; l’ altro, diventa la propria ossessione, posseduto dai demoni dei propri pensieri intrusivi , vive sui pezzi di vetro, non vive affatto, è inquieto, ansioso, pauroso, persecutore e perseguitato.
L’ odio si annulla qualora ci si lascia persuadere e arrendere al dialogo, disposti ad oltrepassare le proprie posizioni nette ancor prima di una tragedia; l’ odio si elude se si è disposti a porsi anche sulle prospettive altrui, se si nutre il dubbio che le proprie non siano assolute, se ci si mette in discussione, disponibili nel riconoscere il proprio dogma. La vendetta o e la giustizia non è mai del tutto risolutiva, perché accompagnatrici del senso di colpa, altro precursore successivo della malattia .
È necessario lasciar andare, distaccarsi, seppellire, vivere nella prospettiva di una risoluzione, che è la prospettiva dell’ amore di se, ritornare alla propria buona natura, li dove è possibile, ripercorrere l’ opportunità del coraggio di dialogare, per ritornare all’ amore verso gli altri. Chi non capisce il bene che c’è, vede ovunque il male che non c’è. Per poter ritrovare il valore della vita degli altri, è necessario ritrovare la quiete di sé, l’ odio non fa affatto bene alla salute di nessuno, di chi odia e dell’ odiato, la parola, il dialogo curano la salute, anche se pur giungono alla sola indifferenza.
giorgio burdi
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