
La Regia
LA REGIA
IL MITO DELLA CAVERNA
Alcuni anni fa, Philip K. Dick scrisse: “la realtà è ciò che non scompare anche se smetti di crederci”. Ma come possiamo essere sicuri che ciò che osserviamo sia la realtà? Dopotutto, gran parte di ciò che sperimentiamo è il prodotto della nostra percezione ed è mediato dalle nostre esperienze interne.
Circa 2.400 anni fa, Platone propose lo stesso dilemma e cercò di spiegarlo attraverso il mito della caverna, Platone-Repubblica, 514 a-517 a (parla Socrate in prima persona, il suo interlocutore è Glaucone): un gruppo di uomini condannati alla nascita a rimanere incatenati nelle profondità di una grotta. Non riuscirono mai ad uscire da essa, e neppure ebbero la capacità di guardare al passato e capire l’origine delle catene o vedere cosa succedeva dietro di loro, fuori dalla caverna. guardavano solo le pareti della caverna. Ogni tanto, davanti all’ingresso della caverna passavano altre persone e animali. Gli uomini incatenati potevano solo vedere le loro ombre e sentire gli echi, che venivano proiettati sulle pareti della caverna. I prigionieri percepivano queste ombre e gli davano dei nomi, credendo di percepire cose reali, poiché non erano consapevoli che si trattava solo di proiezioni della realtà. Tuttavia, un bel giorno, uno dei prigionieri viene liberato. Questi esce alla luce, ma il sole lo acceca, scopre che tutto ciò che lo circonda è caotico dal momento che non riesce a dargli un significato. Quando gli spiegano che le cose che vede sono reali e che le ombre sono solo riflessi, non può crederci. Finalmente si adatta e decide di tornare alla caverna per raccontare al resto dei prigionieri la sua fantastica scoperta.
In un certo senso, una parte di noi sono quei prigionieri incatenati nella caverna. Una parte di noi si sente a proprio agio con gli stereotipi e le credenze familiari, con tradizioni che ci fanno sentire al sicuro. Quando vediamo un raggio di luce che ci costringe ad analizzare queste cose da un’altra prospettiva, abbiamo paura e possiamo comportarci come i prigionieri, negando la nuova realtà.
Tuttavia, abituato alla luce del sole, i suoi occhi hanno ora difficoltà a distinguere le ombre nel buio, così il resto degli uomini incatenati credono che il viaggio all’esterno lo abbia reso stupido e cieco. Pertanto, non gli credono e si oppongono ad essere liberati, ricorrendo anche alla violenza.
È vero che i cambiamenti di paradigma possono generare paura, perché ci tolgono i parametri di riferimento facendoci mettere in discussione alcune delle credenze che abbiamo sempre considerato verità assolute, ma se desideriamo veramente crescere, non dobbiamo afferrarci a nessun modo assoluto di vedere il mondo, dobbiamo aprirci al flusso di idee e prospettive nuove.
Liberarsi dalle catene, quando queste continuano a tenere legati gli altri, è di solito un processo emotivamente complesso. Non è facile ribellarsi quando c’è una dinamica sociale consolidata di cui facciamo parte da molto tempo.
Alan Watts disse che: “la maggioranza delle persone non solo si sentono a proprio agio con la loro ignoranza, ma sono ostili a chiunque gliela faccia notare”. È la stessa idea che Platone ha cercato di trasmettere con il suo mito, infatti, non dobbiamo dimenticare che alcune delle sue idee sono state considerate troppo pericolose per lo status quo dell’epoca e gli causarono più di un problema.
A volte trascuriamo questo dettaglio, quindi cerchiamo di illuminare le persone con la nostra conoscenza, ma quelle persone non sono pronte ad assimilare la nuova prospettiva. Le porte della mente non si possono spalancare entrambe in un attimo quando sono rimaste chiuse per un lungo periodo di tempo, perché potremmo persino esporci a una reazione violenta. La soluzione non è arrendersi, ma aprire gradualmente dei piccoli varchi.
Platone-Repubblica, 514 a-517 a (parla Socrate in prima persona, il suo interlocutore è Glaucone):
(…) In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.
-Vedo, rispose.
-mmagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.
– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.
– Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?
– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?
– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?
– Sicuramente.
– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?
– Per forza.
– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?
– Io no, per Zeus! rispose.
– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.
– Per forza, ammise.
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso?
– Certo, rispose.
– E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati?
– È così, rispose.
– Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lì a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere.
– Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso.
– Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole.
– Come no?
– Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria.
– Per forza, disse.
– Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.
– È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí.
– E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro?
– Certo.
– Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e più rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo?
– Così penso anch’io, rispose; accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo.
– Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole?
– Sì, certo, rispose.
– E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?
– Certamente, rispose. […]
(Platone, Opere, vol. II)
Ho trovato queste parole di una straordinaria efficacia e, soprattutto, di una straordinaria attualità, eppure appartengono a millenni fa!
Leggendole mi è parso semplice fare una riflessione.
Vi sono comportamenti che sovente ripetiamo, quasi sempre inconsciamente, nel tempo e che paradossalmente hanno quale unico scopo quello di replicare, come in un’opera teatrale vista e rivista mille volte, come <<disco rotto>>, con una pervicacia cronica situazioni, dinamiche e circostanze che spesso conducono all’unico risultato di produrre sofferenza, un serial killer nascosto dentro di noi che dirige la regia di un film il cui epilogo è sempre lo stesso: il nostro massacro.
La domanda che ci si pone per avere risposta al perché di una tale condizione non arriva e solo apparentemente continuiamo a porci seriamente. Eppure, situazioni similari continuano a riproporsi nella nostra vita.
Tutto questo fino a quando persino la sofferenza ha toccato il fondo e ci costringe a fermarci ed a soffermarci sull’unica verità che conti: che siamo proprio noi a custodire quella risposta, anzi, e per meglio dire, a nasconderla per paura di guardare in faccia la vera fonte di tanto dolore.
Chi si nasconde veramente dietro le persone a cui noi consentiamo di farci del male persino quando loro non lo vogliono o non se ne rendono conto o sono semplicemente se stesse nella loro incommensurabile ma inconsapevole sciatteria e pochezza umana ma che senza rendersene conto hanno intercettato il nostro tallone di Achille andando a toccare quella piaga che per ragioni inspiegabili non si è mai rimarginata?
E’ questo il momento in cui siamo scoperti, siamo in trincea, ma soldati nudi, senza armi, senza elmetto, chiaro bersaglio del nostro nemico interiore, privi di comando, pronti solo a morire. Il re è nudo!
Al cospetto di una simile, terrificante, immagine di sé c’è solo una soluzione, credetemi non ve ne sono altre! Occorre fermarsi interiormente, conquistare il proprio tempo e cominciare lo scavo.
Iniziare a scavare è solo l’inizio di un viaggio nelle tenebre più profonde del proprio essere dove tante immagini si aggirano confuse, mostruose e minacciose, rese tali anche e soprattutto dalla nostra mancanza di volontà nel volerle riconoscere, identificarle, dare loro un nome e cognome, affrontarle, materializzarle.
Ma tu sei forte, fortissimo e scavi e scavi, con le mani, nude anch’esse, che si distruggono a sangue, ti fermi, respiri, ti arrendi ma qualcosa ti dice che vuoi guardare in faccia il tuo mostro, i tuoi mostri. Hai paura, tanta, sudi per la fatica dello scavo, per la paura dell’ignoto che ti aspetta, per le conseguenze di questa decisione che ti cambierà la vita ma non sai in che modo, bene, male, peggio! Chissà! In cuor tuo sai che le conseguenze di questa decisione saranno epiche e difficili da gestire e la domanda inconfessata: <<ne sarò capace?>>; <<sarò capace e forte abbastanza per affrontare i conflitti che ne seguiranno>>; <<saprò difendermi>>, <<in fondo subire è meglio che affrontare la battaglia!>> A volte, troppo spesso, non voler sapere è meglio perché ci sottrae alla guerra, al conflitto ed alla scoperta di ciò che siamo, dei nostri limiti: <<ce la farò ad affrontare la guerra?>> ed intimamente ti dici: <<no!, non ce la farò>>. E lo scavo si arresta. Questa è la vera sconfitta. E le repliche si ripetono, il <<disco rotto>> ricomincia e tu senti che stai scoppiando, nella tua vita nulla va per il verso giusto, sei avvilito, affranto, sconfitto, appunto! Ma in mezzo a questo mare in tempesta l’istinto di sopravvivenza ti riporta a prendere respiro e ci riprovi, questa volta con più determinazione e decidi di prendere il toro per i coglioni!
La conclusione di questa ricerca non è tanto ciò che trovi ma il non demordere mai dalla ricerca e, soprattutto, nell’individuare il <<disco rotto>> e fare appello a tutte le tue energie per interrompere quella musica che non sopporti più, come in un film dell’orrore perché il vero obiettivo diventerà riconoscere quel disco rotto ogni volta che si ripresenterà. A quel punto, forse, e dico forse, non ti interesserà più avere l’identikit che ti causa malessere, che ti costringe a subire ciò che ti schiaccia quanto cambiare musica ascoltandone una nuova, quella della tua bellezza interiore, nella Libertà e nella Luce del tuo Essere!
Non potrai dire ancora di avere vinto perché quello sforzo dovrà essere rinnovato ogni volta che quel meccanismo si ripresenterà ma avrai scoperto qualcosa di fondamentale: di avere la forza per affrontare il mostro che si nasconde dentro di te perché ciò che ci circonda non è bello o brutto in sé ma il modo in cui noi lo vediamo e lo affrontiamo.
“Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce”
– Platone –
Laura C.
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La Sindrome di Stoccolma
Quando la vittima diventa complice: analisi della sindrome di Stoccolma
La sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica che si verifica quando una persona viene tenuta prigioniera. In questa situazione, la vittima sviluppa una connessione emotiva con il rapitore e può anche iniziare a provare simpatia nei suoi confronti.
Oltre alla situazione originale di rapimento, la sindrome di Stoccolma può manifestarsi in altri tipi di traumi in cui c’è un legame tra l’aggressore e la persona abusata.
Molti professionisti della salute mentale considerano questi sentimenti positivi un meccanismo di adattamento che usa per sopravvivere a lunghi periodi di abuso o trauma.
Come ha preso il nome la sindrome di Stoccolma?
Questa sindrome prende il nome dall’incidente di una rapina in banca avvenuta nel 1973 a Stoccolma, in Svezia. Durante i sei giorni di stallo con la polizia, molti impiegati della banca presi in ostaggio svilupparono una simpatia nei confronti dei loro rapitori.
Dopo essere stati liberati, alcuni di loro si rifiutarono di testimoniare contro i rapinatori in tribunale e persino raccolsero fondi per la loro difesa.
Un criminologo e psichiatra che ha studiato questo evento ha coniato il termine “sindrome di Stoccolma” per descrivere il sentimento di affinità che alcuni ostaggi sviluppano verso i loro rapitori.
Sintomi e cause
La sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica a un evento traumatico in cui una persona sviluppa una connessione emotiva con il suo aggressore. I sintomi possono includere:
Ci sono diverse teorie sulla causa della sindrome di Stoccolma, ma in generale si crede che sia il risultato di un meccanismo di difesa psicologico utilizzato dalle vittime per sopravvivere a un evento traumatico.
Questo meccanismo di difesa può essere potenziato da vari fattori, come la durata del periodo di ostaggio, l’isolamento sociale, la minaccia alla sicurezza fisica e il controllo coercitivo esercitato dall’aggressore.
In generale, la sindrome di Stoccolma si verifica più comunemente in situazioni di prigionia, sequestro, rapimento o violenza domestica, ma può anche verificarsi in altre forme di abuso emotivo o fisico.
Gestione e trattamento
La sindrome di Stoccolma può avere un impatto significativo sulla vita delle persone che ne soffrono. Poiché questa condizione può portare ad affinità e sentimenti positivi verso i rapitori o gli aggressori, può essere difficile per la persona affetta riconoscere la pericolosità del loro aggressore e allontanarsi dalla situazione abusiva.
Ciò può portare a un pericolo fisico e psicologico a lungo termine per la persona coinvolta.
Inoltre, la sindrome di Stoccolma può causare sintomi simili a quelli del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), come flashback, ansia, irritabilità e difficoltà a concentrarsi, che possono influenzare negativamente la qualità della vita.
Le persone con sindrome di Stoccolma possono anche sviluppare sentimenti negativi nei confronti delle figure autoritarie, come la polizia, il che può causare problemi nelle relazioni sociali e lavorative.
Tuttavia, con il trattamento adeguato, la sindrome di Stoccolma può essere gestita e gli effetti a lungo termine possono essere ridotti.
La sindrome di Stoccolma può essere trattata da un professionista della salute mentale attraverso diverse opzioni di trattamento.
Una di queste opzioni è la psicoterapia, che può aiutare a esplorare i pensieri e i sentimenti legati alla situazione traumatica e sviluppare strategie per affrontare gli effetti a lungo termine della sindrome di Stoccolma. In alcuni casi, i farmaci possono essere utili per gestire i sintomi associati alla sindrome di Stoccolma, come la depressione, l’ansia e l’insonnia.
In generale, la gestione e il trattamento della sindrome di Stoccolma dipendono dalla gravità dei sintomi e dalla situazione specifica in cui la persona si trova.
Valentina Cicerone.
Tirocinante di psicologia.
presso Studio Burdi

Il Feticismo del Piede
Il feticismo del piede è un tipico interesse sessuale che coinvolge l’ attenzione e l’attrazione per i piedi. Le persone che hanno questa preferenza possono sentirsi eccitate guardando i piedi, le dita dei piedi e le caviglie. Tuttavia, la specificità di questo tipo di feticismo può variare da individuo a individuo.
Possono trovare attraenti i piedi decorati con unghie dipinte, gioielli o altri ornamenti, mentre altre possono trovare eccitante il massaggio o l’adorazione dei piedi.
Quanto è comune?
Il feticismo del piede è un tipo di preferenza sessuale che viene comunemente discusso e compreso rispetto ad altri tipi di feticci. Infatti, viene considerato un nodo sessuale tradizionale. Uno studio ha rivelato che i feticci legati alle parti del corpo umano sono tra i più diffusi, e tra questi, il feticismo del piede, o podofilia, rappresenta quasi il 50% delle preferenze.
Perché questa attrazione sessuale per i piedi?
Proprio come con le preferenze di abbigliamento o gli stili musicali, i nodi sessuali variano da persona a persona. Per chi ha un feticismo del piede, questa parte del corpo può essere estremamente eccitante.
Ma cosa c’è di tanto attraente nei piedi?
Molti esperti hanno offerto alcune teorie per spiegare questa attrazione. Una delle ragioni potrebbe essere biologica: i piedi sono ricchi di terminazioni nervose, il che significa che toccarli, massaggiarli o solleticarli può essere molto piacevole.
Inoltre, alcune persone potrebbero trovare il gioco dei piedi come un’esperienza intima e sensuale. Allo stesso tempo, per altri, il feticismo del piede potrebbe avere un aspetto psicologico.
I piedi sono spesso considerati come una parte “umile” del corpo, e questo può creare una dinamica di potere in cui la sottomissione e l’umiliazione possono essere vissute come estremamente eccitanti.
tipi comuni di feticismo dei piedi
Il feticismo dei piedi è una forma comune di feticismo sessuale e può manifestarsi in molti modi diversi:

Il feticcio dei piedi in una relazione
Il feticcio dei piedi è un interesse sessuale comune tra molte persone, ma ancora spesso considerato tabù dalla società.
Molte persone si vergognano di avere questo feticcio, ma in realtà non c’è nulla di cui sentirsi in colpa. È importante sottolineare che il feticcio dei piedi non è una patologia, né un disturbo mentale, ma un’attrazione sessuale che può essere completamente sana e normale.
Tuttavia, quando si tratta di introdurre questo interesse all’interno di una relazione, può essere difficile per molte persone trovare il coraggio di parlare apertamente del proprio desiderio.
Come con qualsiasi altra fantasia sessuale, è fondamentale discutere in modo aperto e onesto e trovare un compromesso che funzioni per entrambi.
In conclusione, il feticcio dei piedi è un interesse sessuale comune e normale che non dovrebbe essere fonte di vergogna o giudizio. Con una comunicazione aperta e rispettosa all’interno di una relazione, può essere un modo divertente e soddisfacente per esplorare la propria sessualità.
Cosa fare se il feticismo diventa un problema?
Il feticismo diventa un problema quando diventa una fonte di stress, ansia o interferisce con la vita quotidiana della persona. Ciò può accadere se il feticismo diventa un’ossessione che domina la vita della persona e interferisce con le sue relazioni interpersonali, il lavoro e le attività quotidiane.
Inoltre, se la persona non riesce a controllare il proprio comportamento feticista o se il feticismo causa angoscia o disagio psicologico, può essere utile cercare aiuto professionale.
In generale, il feticismo non rappresenta un rischio per la salute mentale, e può essere considerato come una forma di piacere, intimità e gioco tra partner consenzienti.
Tuttavia, in alcuni casi, il soggetto può provare sentimenti contrastanti riguardo alla propria deviazione psicologica, e desiderare di eliminarla. In questi casi, la psicoterapia può essere un’opzione interessante per analizzare il passato, il presente, la personalità e le relazioni dell’individuo.
Inoltre, per coloro che provano tali sentimenti contrastanti, è possibile cercare ausilio esterno per migliorare la relazione sentimentale e l’intimità con il proprio partner.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso lo
Studio BURDI
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Shopping Compulsivo
Quando l’acquisto diventa una dipendenza
Cos’è lo shopping compulsivo?
Lo shopping compulsivo, o dipendenza dallo shopping, è un disturbo caratterizzato da un’eccessiva tendenza all’acquisto, che può influenzare negativamente la qualità della vita di una persona.
Mentre alcune persone con questa condizione sviluppano una preferenza per determinati prodotti, come orologi o cibo, altri comprano in modo compulsivo senza restrizioni.
In ogni caso, il disturbo dell’acquisto compulsivo può avere effetti negativi sulle finanze personali e sulle relazioni sociali.
Pur non essendo ufficialmente riconosciuto dal DSM, il disturbo da acquisto compulsivo è considerato un problema legittimo dai professionisti della salute mentale. Questa condizione può avere un impatto duraturo sugli individui e sui loro cari, e le opzioni di trattamento sono simili a quelle per altre dipendenze comportamentali.
Segni distintivi della spesa compulsiva
Ecco alcuni possibili segni distintivi della spesa compulsiva:
1. Acquisti impulsivi e irrazionali: la persona che soffre di spesa compulsiva può fare acquisti senza una reale necessità o senza considerare le conseguenze finanziarie.
2. Preoccupazione eccessiva per lo shopping: chi soffre di spesa compulsiva può passare molto tempo a pensare al prossimo acquisto o a pianificare i propri acquisti.
3. Sensazione di sollievo temporaneo: l’acquisto può portare una sensazione di sollievo temporaneo, ma che viene seguita da una sensazione di colpa o di rimorso.
4. Difficoltà a resistere all’impulso di acquistare: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere difficoltà a resistere all’impulso di acquistare, anche se non ci sono soldi sufficienti o se l’acquisto non è necessario.
5. Acquisti ripetitivi o ossessivi: la persona che soffre di spesa compulsiva può acquistare lo stesso prodotto in modo ripetitivo o ossessivo, o può avere un’ossessione per determinati negozi o marche.
6. Nascondere o mentire sui propri acquisti: chi soffre di spesa compulsiva può nascondere gli acquisti ai propri cari o mentire sui costi reali degli acquisti.
7. Utilizzo di carte di credito o prestiti: la persona che soffre di spesa compulsiva può utilizzare carte di credito o chiedere prestiti per finanziare gli acquisti, anche se non ci sono i soldi per pagarli.
8. Sensazione di perdita di controllo: la persona che soffre di spesa compulsiva può avere la sensazione di perdere il controllo sulla propria vita e sui propri acquisti.
9. Problemi finanziari o debiti: la spesa compulsiva può portare a gravi problemi finanziari, come indebitamento e difficoltà a pagare le proprie bollette o le proprie spese quotidiane.
Fattori di rischio
Ci sono diversi fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo di uno shopping compulsivo:
10. Ansia e depressione: le persone con disturbi d’ansia o depressione possono utilizzare lo shopping come mezzo per alleviare i loro sintomi.
11. Bassa autostima: le persone con bassa autostima possono cercare di aumentare il loro senso di autostima attraverso l’acquisto di beni materiali.
12. Storia di abuso: le persone che hanno subito abusi fisici, sessuali o emotivi possono utilizzare lo shopping come mezzo di fuga o di conforto.
13. Storia familiare: le persone che hanno familiari con problemi di dipendenza, tra cui dipendenza dallo shopping, possono essere più inclini a sviluppare lo stesso comportamento.
14. Problemi finanziari: le persone che si trovano in difficoltà finanziarie possono utilizzare lo shopping come mezzo per affrontare lo stress e la tensione.
15. Pressione sociale: la pressione dei social media e della società in generale per avere e mostrare beni di consumo costosi può portare alcune persone a sviluppare comportamenti di acquisto compulsivo.
16. Accesso facile al credito: la disponibilità di carte di credito con limiti di credito elevati può facilitare l’acquisto di beni anche quando non si dispone di denaro sufficiente per farlo.
Come fermare lo shopping compulsivo
Fermare lo shopping compulsivo può essere una sfida, ma ci sono alcune strategie che possono aiutare a gestire questa dipendenza:
17. Identificare le emozioni negative che scatenano lo shopping compulsivo: l’ansia, la depressione, la noia o la solitudine possono essere alla radice dello shopping compulsivo. Identificare queste emozioni e trovare modi alternativi per gestirle può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
18. Creare un budget e rispettarlo: è importante stabilire un limite di spesa realistico e rispettarlo. Evitare di utilizzare le carte di credito e optare per metodi di pagamento alternativi, come il contante o le carte prepagate.
19. Fare una lista della spesa e rispettarla: prima di fare acquisti, fare una lista dettagliata degli articoli necessari e rispettarla. Evitare di acquistare oggetti impulsivamente che non sono nella lista.
20. Evitare di frequentare luoghi di shopping: evitare di frequentare centri commerciali e negozi può aiutare a ridurre l’impulso di fare acquisti.
21. Chiedere aiuto: il supporto di amici e familiari può essere utile per affrontare lo shopping compulsivo. Inoltre, rivolgersi a uno psicologo specializzato in dipendenze può aiutare ad affrontare e gestire la dipendenza.
Ricorda che fermare lo shopping compulsivo richiede tempo e impegno, ma è possibile gestirlo e superarlo con le giuste strategie e il supporto adeguato.
Quando cercare un aiuto professionale
Le dipendenze comportamentali possono essere fonte di vergogna e disagio per molte persone, il che può renderle riluttanti a cercare aiuto.
Tuttavia, se stai lottando per controllare il tuo comportamento di shopping compulsivo e senti che sta influenzando la tua vita quotidiana, potrebbe essere il momento di considerare la possibilità di cercare aiuto professionale.
Inizia cercando un terapeuta specializzato nel trattamento delle dipendenze comportamentali.
Molte di queste persone utilizzano tecniche terapeutiche cognitive e comportamentali per aiutare i clienti a identificare i fattori scatenanti che portano al comportamento di shopping compulsivo e implementare strategie di coping alternative.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso Studio Burdi

La Disfunzione Erettile
Erezioni in difficoltà: comprendere la disfunzione erettile e le opzioni di trattamento
Che cos’è la disfunzione erettile?
La disfunzione erettile, nota anche come ED, è un problema sessuale comune tra gli uomini che si manifesta quando si ha difficoltà ad ottenere o mantenere un’erezione sufficientemente dura per il sesso.
Non è normale se l’ED si verifica regolarmente o è progressiva nel tempo e dovrebbe essere trattata.
Le cause possono essere molteplici, tra cui limitazioni del flusso sanguigno al pene o danni ai nervi, stress emotivo o come avvertimento precoce di una malattia più grave come arteriosclerosi, malattie cardiache, ipertensione o glicemia alta da diabete.
Trovare le cause della disfunzione erettile aiuta a trattare il problema e migliorare il benessere generale, e ciò che è buono per la salute del cuore è anche buono per la salute sessuale.
Sintomi
La disfunzione erettile (DE) è una condizione in cui è difficile ottenere o mantenere un’erezione sufficientemente solida per avere un rapporto sessuale.
Se questa difficoltà si verifica in modo regolare e diventa un problema fastidioso, è importante parlare con un medico di base o un urologo. La DE può essere un
segnale di avvertimento di malattie cardiovascolari e può indicare un accumulo di blocchi nel sistema vascolare di un uomo.
Infatti, alcuni studi hanno dimostrato che gli uomini con DE hanno un rischio maggiore di infarto, ictus o problemi circolatori alle gambe.
Inoltre, la DE può provocare una bassa autostima, depressione e angoscia per l’uomo e la sua compagna.
Se la DE sta influenzando il benessere di un uomo o delle sue relazioni, è importante cercare un trattamento che possa correggere o migliorare la funzione erettile, aiutare la salute circolatoria e migliorare la qualità della vita dell’uomo.
Cause
La disfunzione erettile (ED) può essere causata da problemi di salute, problemi emotivi o da una combinazione di entrambi.
Ci sono diversi fattori di rischio noti che possono contribuire alla comparsa dell’ED, tra cui l’età (in particolare oltre i 50 anni), livelli elevati di zucchero nel sangue (diabete), alta pressione sanguigna, malattie cardiovascolari, alti livelli di colesterolo, fumo, consumo di droghe o alcol e obesità.
Tuttavia, l’invecchiamento non sempre causerà l’ED e alcuni uomini rimangono sessualmente attivi fino ai loro 80 anni.
La disfunzione erettile può essere un segnale precoce di un problema di salute più serio, quindi trovare e trattare la causa sottostante della ED è un passo importante per la salute sessuale e generale.
Cause emotive
La disfunzione erettile può essere causata o aggravata da problemi emotivi o relazionali. Per un sano rapporto sessuale, la mente e il corpo devono lavorare insieme. Alcuni problemi emotivi che possono causare DE includono:
Impatto sulla vita dell’uomo
La disfunzione erettile (DE) può avere un impatto significativo sulla vita di un uomo. In primo luogo, può influire sulla sua capacità di avere una vita sessuale soddisfacente, causando ansia e frustrazione.
La DE può anche influenzare negativamente la sua autostima e la sua fiducia in se stesso come amante e come uomo.
Può anche causare tensione e conflitti nelle relazioni di coppia, poiché il partner potrebbe sentirsi respinto o indesiderato.
Inoltre, la DE può essere un segnale di avvertimento di malattie cardiovascolari, che possono avere conseguenze gravi sulla salute.
La ricerca ha anche dimostrato che gli uomini con DE hanno un rischio maggiore di depressione e altri disturbi psicologici.
Pertanto, se la DE sta influenzando la qualità della vita di un uomo, è importante cercare aiuto medico per identificare e trattare la causa sottostante e migliorare la funzione sessuale e la salute generale.
Impatto sulla vita di coppia
La disfunzione erettile non deve essere un tabù perché è una condizione medica comune che può influire sulla qualità della vita di un uomo e della sua compagna. Molti uomini provano vergogna o imbarazzo a parlarne e cercare aiuto medico, ma ignorare la DE può portare a problemi di salute più gravi e persino a depressione e ansia.
Inoltre, la DE può essere causata da una varietà di fattori, tra cui problemi di salute e fattori emotivi, e può essere trattata efficacemente con una combinazione di cambiamenti dello stile di vita, terapie comportamentali e farmaci.
Con la giusta assistenza medica e il supporto emotivo, la maggior parte degli uomini può superare la DE e tornare a una vita sessuale soddisfacente.
Trattamento della DE
Ci sono diversi trattamenti disponibili per la disfunzione erettile (DE) e la scelta dipende dalla causa sottostante e dalle preferenze del paziente.
È importante parlare con il medico per determinare quale trattamento potrebbe essere più appropriato e sicuro per ogni situazione.
Ricorda…
La disfunzione erettile non deve essere un tabù perché è una condizione medica comune che può influire sulla qualità della vita di un uomo e della sua compagna. Molti uomini provano vergogna o imbarazzo a parlarne e cercare aiuto medico, ma ignorare la DE può portare a problemi di salute più gravi e persino a depressione e ansia.
Inoltre, la DE può essere causata da una varietà di fattori, tra cui problemi di salute e fattori emotivi, e può essere trattata efficacemente con una combinazione di cambiamenti dello stile di vita, terapie comportamentali e farmaci. Con la giusta assistenza medica e il supporto emotivo, la maggior parte degli uomini può superare la DE e tornare a una vita sessuale soddisfacente.
Valentina Cicerone
Tirocinante di psicologia presso Studio Burdi

L’ Angolo della Poesia di Psicologia
IL CONTROLLO
Quando l’angoscia di perdere brucia
ed il vuoto interiore dilaga,
quando un altro t’infonde sfiducia
e con noncuranza i tuoi sforzi ripaga,
ti vedi costretto a porre rimedio,
quasi come ne avessi il diritto,
a trasformare l’amore in assedio
e il rispetto in un atto prescritto.
Dici a lei: «Mi nascondi qualcosa!
Credi forse mi lasci schernire?
O tu possa ingannarmi per bene?
Mi conosci, non starò fermo in posa
e non vedrò la tua brama tradire.
La tua vita oramai mi appartiene».
L’AMORE UNILATERALE
Il cuore, si sa, è un organo ribelle,
ti parla, t’illude e ti convince di tutto,
racconta imprese eroiche e belle novelle,
talvolta troppo grandi e passionali soprattutto, che al confronto col reale l’anima non regge.
Sì, perché se è vero che in amor non v’è legge, succede che lo slancio iniziale sia corrotto dal folle desiderio di facile riuscita di e come il prigionier che nota la crepa e pensa a un muro rotto e nella cella prende a scavare senza indugio in cerca dell’uscita, di quella libertà che tante notti insonni ha provocato,
così lo spirito del pretendente d’amor intestardito, cieco di passione e dal desiderio abbagliato, della terra che calpesta non si cura ma, rapito nella spinta del fatal delirio,
non s’accorge d’aver al suo cospetto anima d’altra fattura.
simone oliva
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La Simbiosi
LA RELAZIONE SIMBIOTICA GENITORE FIGLIO
La simbiosi in psicologia identifica un rapporto di stretta dipendenza fisica e psicologica tra due individui.
La relazione simbiotica tra genitore e figlio, è in partenza una relazione che implica risorse impari, il cui instaurarsi può costituire una forte limitazione per lo sviluppo psicologico e per il percorso verso la realizzazione di sé del figlio, dall’infanzia fino all’età adulta.
D’altro canto il genitore simbiotico, spesso disinvestito dal rapporto col partner (l’altro genitore) vede e vive il proprio figlio come un’estensione di sé, fonte di riscatto da mancate realizzazioni e veicolo quasi scontato di gratificazione delle proprie aspettative e proiezioni.
In questo senso la relazione simbiotica con il genitore si profila come una relazione di potere, oltre che di mutua dipendenza, che per certi versi potrebbe essere assimilata ad una sorta di “incesto affettivo” in cui vi è un abusato e un abusante.
Essa può comportare infatti la parziale o la totale perdita di autonomia, del senso di identità profondo, del contatto con i propri desideri del figlio, poiché i desideri dell’uno e dell’altro si confondono, in un intreccio in cui i desideri di colui che ha un apparato psichico più sviluppato, prevalgono.
Il figlio coinvolto nella relazione simbiotica cresce e si sviluppa con una sorta di seconda coscienza, la cui voce si affianca e a volte si sostituisce alla propria, una voce da cui ricerca il consenso e senza il cui consenso prova senso di colpa e rabbia…alle cui richieste e alle cui intrusioni non sa dire di no, perché quel no è il tradimento di un patto di sangue…
Una seconda coscienza che non è la sua, ma che vede e sente tutto ciò che egli fa, che egli pensa, anche l’indicibile…che giudica e commenta, da cui non può sfuggire, non può nascondersi, perché questa è nel contempo sostegno e pegno. Affettuosa e spietata.
Il figlio simbiotico è spesso nostalgico e melanconico, accompagnato permanentemente da una sorta di tristezza abbandonica per quel distacco dal ventre materno/paterno che in realtà non è mai stato realizzato e che è paventato ogni qualvolta la vita richiede un atto di indipendenza, ma anche ogni qualvoltasi instaurano o si prospettano nuove relazioni che hanno bisogno di nutrimento e che richiedono l’uscita da quella posizione simbiotica, confortevole, ma anche condanna all’immobilità e alla rinuncia ad una vita originale autonoma e indipendente.
Sciogliere la relazione simbiotica comporta certamente la rottura di un equilibrio che necessita di essere gradualmente ripristinato.
Il figlio emancipato dalla relazione simbiotica puo’ iniziare a riscoprire e a riconoscere il gusto di un dialogo interiore puro con la propria coscienza, iniziare a fare scelte libere, liberate dallo sguardo e dalla voce dell’altro, liberate anche dalla paura della separazione dal genitore, con cui può, attraverso un opportuno accompagnamento, ristabilire una relazione diversa, alla pari, una relazione finalmente da “adulto”.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Laura Cecchetto
Tirocinante di Psicologia
presso Studio Burdi

Le Due Facce Della Medaglia
- LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA
Nelle vite di ognuno di noi è sicuramente capitato di ritrovarci in situazioni che compromettono il nostro buon umore, che siano problemi d’amore, perdite di persone care, provare solitudine o ambiguità quando si è all’interno di un gruppo di persone, problemi nel relazionarsi con gli altri, introversione, vergogna di sé stessi e così via. Ciò che bisogna capire è che qualsiasi cosa accada, essa ha un lato negativo ma anche (e soprattutto) positivo.
Di fronte a circostanze quali quelle elencate precedentemente il sentimento predominante è l’infelicità, un sentimento alquanto spiacevole da provare, ma non se si impara a gestirlo propriamente. Attraversare un momento triste, infatti, è il più efficace metodo di crescita che l’uomo possa avere a sua disposizione, solo se si sa girare la medaglia dall’altro lato. E per imparare a farlo bisogna scontrarsi con un nemico crudele e invisibile agli occhi: noi stessi. Si può capire in qualche modo come scoprire questa parte inconscia? Assolutamente sì.
Ognuno di noi ha un’identità, seppure non chiara e ben definita, a cui corrisponde un’altra esattamente contraria alla nostra o, in parole più spicciole, quella parte che non ritroviamo nella nostra identità perché non ci piace o perché estranea ad essa. Solitamente ci se ne accorge quando si ha a che fare con persone molto diverse da noi, ma il nostro obbiettivo è creare quella sorta di persona dentro noi stessi che corrisponda all’esatto opposto dei nostri gusti, del nostro comportamento, del nostro stile, cosicché si possano mettere più realtà a confronto. Tuttavia è corretto esplicitare anche quella parte che potrebbe risultare “maligna” o “tossica”, che è però da utilizzare solo a confronto con i suoi e mai da sola.
Dunque c’è bisogno prima di tutto di creare questo opposto, successivamente conoscerlo e infine saperlo sfruttare al meglio.Alcuni esempi possono rendere meglio l’idea di quanto affermato precedentemente.Di fronte alla rottura di una relazione amorosa, non bisogna dare spazio solo alla sofferenza, bensì anche a quella parte di noi stessi che ci sussurra che i vincoli comportati dalla precedente situazione sono sciolti, oppure, se la relazione è terminata, si può finalmente dire di aver messo un punto a tutti i disguidi e litigi che hanno portato alla rottura. E il tutto può essere migliorato ulteriormente dalla visione dell’amore non come unica ragione di vita ma come la più importante tra le relazioni sociali che si ha, senza escludere le altre meno importanti.
Nel caso di un lutto, la tristezza è imminente. Non sarà così intensa se non si vede il lutto come una perdita ma come un “passaggio” di valori e insegnamenti che il caro ha lasciato e fare in modo che diventino parte di noi, contrariamente a quando probabilmente, durante la vita, venivano ignorati o considerati di poco conto; una sorta di convivenza delle nostre voci interiori con la voce del caro, facendola parlare come se fosse accanto a noi in ogni momento ed esserne felici del ricordo, non tristi per la perdita.
È corretto parlare anche della vergogna di fare ciò che si desidera o ciò che ci piace. Partendo dal presupposto che molte delle persone che passeggiano casualmente non proveranno nessun particolare interesse nei confronti di altri passanti, dobbiamo sentirci più a nostro agio con l’ambiente che ci circonda. Non piacciamo a qualcuno? Per il semplice fatto che non ci adeguiamo alla massa? Adesso, parlando nello specifico di te, lettore, se ritieni di essere diverso da tutti, non pensi sia meglio? Non sarebbe così noioso essere uguale a tutti in comportamento, pensiero ed estetica? E ancora, tu lettore, ti sentiresti meglio ad esprimere te stesso appieno o a nascondere te stesso in quella grande categoria che non fa altro che adeguarsi?
Sono più che sicuro che la risposta è arrivata impulsivamente, da quel che si potrebbe definire “numero 1” della nostra persona, ovvero quel segmento di noi stessi che ci da risposte a situazioni senza analizzarle dal punto di vista razionale.
Qui la seconda faccia della medaglia si può facilmente riassumere con il detto “come ci sarà qualcuno a cui non piace quello che fai, ci sarà anche chi ti adorerà per quello che sei” -e aggiungo- “che ti supporterà per far si che ciò che ti piace si realizzi”. Sta solo a noi la scelta di aprirci affinché arrivi questo cambiamento, nessuno girerà la medaglia al nostro posto. E la vita è troppo breve per non essere vissuta da tutti i lati che ci permette di analizzare.
davide
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Credere in Se
CREDERE IN SE
Quando avevo 6 anni, avevo già deciso che da grande avrei fatto l’archeologa e che mi sarei laureata a 24 anni e poi a lavorare.
A 14 anni, avevo già deciso che sarei andata in Cina e che avrei imparato questa lingua.
Perché la Cina? Perché è lontano da tutti e perché è diversa, ma soprattutto li, posso contare solo su me stessa.
E’ andando in Cina che sono il più cresciuta: il primo viaggio da sola, iscritta all’università cinese (quasi) da sola, dovevo incontrare gente diversa per non stare da sola in un paese cosi lontano da tutto e da tutti quelli che conosco. Incontrare gente nuova.
Contare solo sulle mie forze, la mia determinazione e la mia volontà. Sono la sola della famiglia a sapere parlare, leggere e scrivere in cinese.
Ho tre lauree specialistiche: una in archeologia cinese (con un soggetto di tesi molto originale e di cui ero la prima in Europa a discutere di questo soggetto: la via dell’anima nelle tombe reali e principesche della dinastia dei Ming); una laurea sull’insegnamento del cinese per stranieri (con tesi sul fumetto cinese) e un’altra laurea sull’insegnamento del francese per stranieri (con tesi sulla scrittura creativa e la doppia identità linguistica degli studenti cinesi). La prima laurea mi è piaciuta tantissimo e sono andata in Cina a fare ricerca sul terreno, con una piccola borsa di studio per la mia ricerca: pieni voti, tutto ottenuto da sola.
La seconda e la terza laurea: ho odiato farlo perché l’ho fatto per trovare lavoro e mentre lavoravo. Università e lavoro e famiglia: ero diventato un robot. Forte, inarrestabile. Fino a cadere. In depressione perché non era quello che volevo fare.
Volevo andare in Cina a studiare bene la lingua e la cultura cinese, forse integrando davvero un’università, come studente e non più come insegnante. Mi piaceva molto insegnare la letteratura francese all’università. Ma mi piacerebbe di più fare un dottorato in archeologia cinese.
Ora non ci posso più andare, perché la Cina è chiusa. Perché mi sono chiusa in Cina. Perché ho odiato studiare il cinese durante la mia seconda laurea. E soprattutto: avevo smesso di credere in me.
Ora, ho deciso di credere di nuovo in me stessa.
Ripasso per la sesta volta l’HSK 6? Ci riprovo. Non più per averlo e basta, ma per me, perché ora che ho iniziato a studiare di nuovo il cinese con piacere, mi diverto e ho voglia di ritentarlo. Durante la scuola obbligatoria e alcuni anni universitari, non sono mai stata bocciata ma ogni anno ho rischiato di esserlo. Perché non sono stata bocciata? Perché mi conoscevo abbastanza da sapere che se avessi ripetuto l’anno, non avrei ascoltato e avrei fatto altro.
A 6 anni, sapevo scrivere meglio in geroglifico che l’alfabeto.
A 16 anni, malgrado i miei gravissimi problemi di italiano, ho scritto delle poesie e ho pubblicato un libro e un lettore l’ho incontrato, per caso, in Cina e un altro romanzo è in preparazione (la bozza è in correzione).
Queste promesse le ho fatte prima a me e solo a me stessa.
IO nascerò per me sola ancora nascerò, alcun vento mi potrà più fare male, ormai affronto il mare… A che passo sono oggi? La conferma del vero me.
A tutti quelli che dicono « Non ce la farai mai” oppure che credono di sé di non essere abbastanza: piuttosto che guardare com’è bella, figa e soprattutto falsa la vita degli altri sui socia media, ed invidiarli: è meglio osservare e ricercare attentamente la causa scatenante dell’invidia e brama di ambizione scaturita dal “Perché lui/lei si’ e io no?” e cercare di imitare il loro percorso di riuscita e successo piuttosto che parlare bene e razzolare male e soprattutto sputare rabbia repressa di auto-commiserazione inutile e compiaciuto vittimismo.
Ricorda: C’è qualcuno che sa quanto vali, quanto sei grande e quel che è più importante: che ti ama molto moltissimo. Te stesso.
Amarsi è scegliere la vita che si desidera e le persone con il quale condividerla, è saper apprezzare la compagnia delle persone che riconoscono il proprio valore e con cui è piace
eva blasi
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