La vita amorosa: tra desiderio e turbamento
La vita amorosa
tra desiderio e turbamento
C’è un bisogno innato nell’uomo di misurarsi col limite e con il conflitto tanto da cercarlo, da voler toccare il fondo, nella convinzione che solo in un momento così basso un uomo rivela, a se stesso e agli altri, esprime tutta la propria ricchezza interiore costretto ad entrare nel profondo di se.
Un’altra testimonianza di questo incoercibile bisogno riguarda il versante dell’esperienza amorosa, quello che potremmo definire ’l’abisso degli amori perturbanti’.
Egli avverte il bisogno ineluttabile di inseguire amori letteralmente sconvolgenti, che attraggano e sgomentino se stesso sulla base di una ipotetica serenità e su una ricerca di emozionabilità che lascino intravedere una felicità immensa, spaventosa per il pensiero, perché svela una felicità che la vita non poteva seguirla.
La donna incarna nella realtà esterna un’immagine che ogni uomo porta da sempre dentro di sé, l’immagine della sua anima.
Come un uomo incarna nella realtà esterna una fisicità che ogni donna porta in se come immagine di sicurezza. È in questo binomio l’origine dell’ attrazione amorosa.
Amare significa proiettare questa immagine su una creatura reale. Bisogna passare attraverso questa esperienza per capire a fondo il pericolo dell’amore, l’opportunità che esso ci offre è di sperimentare un turbine di emozioni profonde e contraddittorie, che difficilmente potrebbero emergere in altre circostanze.
La felicità a cui si accede è, spaventosa’, per una condizione considerata invidiabile per le diversità che sono allo stesso tempo, affascinanti e tremende e che conducono nel campo del ’perturbante’ dell’esperienza amorosa.
Il perturbante rivela ciò che è tenuto nascosto e trasforma il noto in ignoto, il reale in fantasma inquietante. I fantasmi, i mostri che popolano la narrativa, non sono che personificazioni del nostro mondo interiore invisibile, immaginativo, è tutto ciò che sarebbe dovuto rimanere nascosto, segreto, e che invece affiora alla coscienza attraverso il perturbante.
Ci turbiamo per ciò che supponiamo esistere come fantasma e che vediamo a tratti e solo il tempo della relazione darà ragione di esistere.
Nell’esperienza amorosa dell’uomo l’apparizione della donna risveglia tutto un universo di emozioni, di intuizioni profonde, di corrispondenze misteriose, di trasformazioni interiori, che lo turbano e che, mentre lo affascinano, lo aprono alla vertigine, al presentimento inquietante che la vicenda amorosa trasporti, chi la vive, in una regione sconosciuta e irta di pericoli: Da quando si ama ci si sente felice, ma, nello stesso tempo, perduto… per l’ altro.
La passione, per la donna o per l’uomo, avvicina a questo abisso perturbante, e così è per ognuno di noi. Quando una figura femminile o maschile si installa da protagonista nella nostra immaginazione, finisce col monopolizzare non solo le nostre emozioni e i nostri desideri, ma rappresenta l’ emancipazione e l’annientamento di se.
“La donna, nella sua bellezza tremenda, è insieme possibilità trasformatrice e vortice, promessa e minaccia divoratrice, vita e morte. Il suo essere delizioso ha fatto sorgere nell’ animo qualcosa d’immenso nel quale potersi perdere, perdere se stesso, le contingenti progettualità, ella rappresenta la follia, un sogno appetibile ed insensato che non sa dove posarsi; perché il suo candore lo induce a credere che sia pericoloso, che sia misterioso e terribile avventurarsi nella sua vita” (Bousquet, Lettere a Fany [epistolario inedito], 1927-37, 13).
È un errore allontanare certe immagini seduttive, ma inquietanti, che si affacciano alla nostra mente.
Esse possono essere le immagini ancestrali della nostra bella o frustrata infanzia che ci riportano in vita la figura della mamma forte, delicata, misteriosa e, concreta e bella.
Abbiamo bisogno di accoglierle, dar loro voce. Nella terminologia junghiana, si tratta di confrontarci con le ombre dell’ inquietudine con la parte più oscura del nostro essere, con l’aspetto “notturno” della nostra personalità, con la carica dirompente delle emozioni per poter crescere, per scorrere dall’ oblio, al colore di certe bellezze.
L’educazione che abbiamo ricevuto ci impone un controllo continuo delle nostre dinamiche d’ombra, e in definitiva delle nostre emozioni, sin dall’infanzia. Il bambino viene apprezzato in relazione allo sviluppo delle sue capacità cognitive, alla razionalità e all’efficienza, mentre la sua vita emozionale non solo viene sottovalutata, ma spesso biasimata o addirittura punita.
Nella repressione di queste istanze si celano, naturalmente, le paure dell’adulto. Il bambino si accosta al mondo delle emozioni, per lui in larga parte ancora poco conosciute, con molta più naturalezza e spontaneità dell’adulto, solo attraverso il gioco riesce ad accedere a una comprensione ’naturale’ dei misteri della vita.
Il sesso, la morte, la nascita sono eventi che nell’adulto si associano a emozioni perturbanti, mai completamente sondate e analizzate.
La condizione amorosa intacca la corazza difensiva dell’Io, permettendo all’uomo di giocarsi in tutte le proprie sfaccettature, anche le più imbarazzanti, così come avviene nel lavoro analitico.
Nella terapia, è l’Eros la forza che smantella le difese del paziente e gli permette di sentirsi vivo sulle difese degli imbarazzi.
Lungo la pratica analitica di consente di riconoscere subito l’atteggiamento specifico difensivo del paziente.
La difesa consiste il più delle volte nella razionalizzazione e giustificazione degli eventi, cioè nel riordinarli secondo un tracciato logico che li rende coerenti e razionali al mondo, così da illudersi di poterli controllare.
L’analista dentro di sé sorride, perché sa bene che la funzione di certe elucubrazioni mentali è proprio quella di imbrigliare emozioni e sentimenti a processi di razionalizzazioni che, lasciati emergere liberamente, potrebbero produrre effetti rovinosi; ma sa anche che quel timore è infondato perché nel setting si stabilisce un vincolo profondo che unisce analista e paziente, una coppia di cui l’uno, addestrato a navigare in mari burrascosi, riesce a guidare, l’ altro timoroso portato a lasciarsi condurre dalla diffidenza alla fiducia in se.
giorgio burdi
ContinuaIstruzioni per rendersi Felice
Istruzioni per rendersi Felici
Qualche giorno fa, gironzolando tra i reparti della Feltrinelli di Pisa, la ragazza che frequento esprime il desiderio di volermi regalare un libro.
Premetto che non sono un lettore seriale, uno di quelli che continuamente aggiorna la wishlist dei libri che leggerà, e che pertanto ci metterebbe due nanosecondi a scegliere un titolo da farsi regalare.
Decido quindi di prendermi qualche minuto per riflettere e intanto mi guardo attorno alla ricerca di qualcosa che catturi la mia attenzione. Dopo poco ci ritroviamo nel reparto di Filosofia e Psicologia ed è proprio qui che l’occhio mi cade su un nome: Paul Watzlawick.
In un attimo mi ricordo di quando, un mesetto prima, il mio terapeuta mi aveva consigliato la lettura del ben noto Pragmatica della Comunicazione ma il libro che focalizza la mia attenzione ha un titolo diverso: Istruzioni per rendersi infelici. La sinossi recita: “Nulla è più difficile da sopportare di un serie di giorni felici”.
Due minuti dopo sono fuori per le strade della Novella Tebe con il mio regalo a braccetto. Lo sapevate? Terenzio Varrone contava ben 289 definizioni di felicità e così pure Agostino.
Aristotele sosteneva che tutti gli uomini vogliono essere felici ma cercare una definizione univoca di felicità significa infilarsi in un ginepraio. E poi, si sa, la materia delle grandi creazioni è quasi sempre stata fornita, al contrario, da infelicità, disgrazie, tragedie, crimini, colpe, pericoli, follia e quindi, per quanto sia doloroso da ammettere, che cosa saremmo senza la nostra infelicità?
Anche però nel coltivare la propria infelicità, bisogna avere metodo e qui l’autore si sente di correre in soccorso di coloro che vogliono cimentarsi in questa “missione” evidenziando quanto la letteratura sia carente nel fornire indicazioni precise a riguardo e quanto, al contrario, sia sommersa da una marea di istruzioni per essere felici.
Insomma, <<tutti possono essere infelici, ma è il rendersi infelici che va imparato, e a ciò non basta sicuramente qualche sventura personale>>.
Ok, a questo punto dovrebbe apparire chiaro l’espediente narrativo basato sul paradosso adottato dall’autore. Cosa c’è di meglio di una serie di istruzioni che, l’esperienza clinica insegna, conducano inesorabilmente all’infelicità, quando, al contrario, si è alla ricerca di ripristinare il proprio equilibrio? Di un atteggiamento sano alla vita? Quanto, al pari di ciò che la terapia ci esorta a fare, può essere utile conoscere cosa scongiurare?
Watzlawick, usa tutta l’ironia e la competenza che gli deriva dall’immensa esperienza clinica per stilare un instructable di atteggiamenti che se perpetrati ci garantiranno senz’altro una enorme dose di infelicità.
In poco più di cento pagine si affrontano gli argomenti più disparati: il rapporto con sé stessi, con il passato, le insidie dietro un uso improprio del linguaggio, suggestioni, sabotaggi, paradossi, giochi, amore.
Ad esempio, se vi dicessero “prima di tutto, sii fedele a te stesso”, pensereste che quel qualcuno abbia a cuore che coltiviate la vostra personalità. Ma quali insidie si nascondono dietro un atteggiamento del genere? E se foste esortati ad essere sinceri, riconoscereste il paradosso logico che accompagna l’esortazione? E ancora, quale atteggiamento con il passato rende rovinoso il nostro presente?
La vita è un gioco? E la vita di coppia? E se sì, è un gioco a somma zero o un gioco a somma diversa da zero? Conoscete la differenza?
Questo articolo non è il contesto adatto per una disamina approfondita degli argomenti trattati ma semplicemente l’invito a leggere un buon libro.
Chi è in un percorso di terapia sa quanto il lavoro da fare possa a tratti risultare duro (ancorché necessario) ma sa anche che è per la maggior parte delle volte composto da istruzioni semplici, purché si abbia una direzione chiara su cosa praticare e su cosa evitare. Ecco, per l’appunto, molto spesso proprio su cosa evitare.
D.
ContinuaCHANGE: L’ Arte di migliorarsi
CHANGE
L’ Arte di cambiare per star bene
Uno studio recente della Duke University ha attestato che il bruco comprende di esser giunto al momento della muta, quando avverte una sorta di “fame d’aria”. Il suo corpo inizia a diventare più grosso, ma l’apparato respiratorio e, in particolar modo, la trachea non varia assolutamente di dimensione. Si è verificato che il momento del cambiamento prende avvio, così, da un sintomo fastidioso.
In parallelo, Otto Rank, negli anni venti del secolo scorso, parlò, in termini psicanalitici del trauma della nascita: la prima cosa conosciuta, dal neonato, è il dolore del mutamento, del passaggio dalla sicurezza dell’utero materno all’ostilità e alla freddezza del mondo.
Il cambiamento comporta dolore. Lo si trova inciso nella legge naturale ed intraprendere un cammino psicoterapeutico è trovarsi faccia a faccia con la propria sofferenza, perfino con la remissione di alcuni sintomi, se non con il riaffacciarsi del disturbo che ci ha spinto a chiedere aiuto allo specialista.
Curare la ferita fa male, ma il dolore non può costringerci a restare bendati a vita.
È un primo passaggio del cambiamento, su cui parecchi ciarlatani marciano, proponendo ai pazienti, nuove e miracolose cure per la completa dissoluzione delle difficoltà che li affliggono. Basta girare le strade di internet per fare esperienza delle soluzioni più disparate: dalla sicura virilità ottenuta grazie a antiche bacche indiane, alle portentose boccette di ossigeno dell’Himalaya, alla dieta anti-ansia, all’elisir di lunghezza e così via.
Ci marciano anche i dottori usciti dalla cosiddetta Università della vita che con un solo seminario sul monte Vattelappesca, per cifre esorbitanti, rimuovono dall’inconscio ogni impurità e atavica calcificazione. Ognuno è libero di cambiare continuamente terapia, ma egli stesso noterà che, a breve o lungo termine, seppur sotto un’altra luce, le cose continueranno a non cambiare. I comportamenti di “auto-sabotaggio” servono solo a dilatare i tempi di una terapia efficace e risolutiva.
La resistenza al cambiamento va vissuta e ricompresa solo nell’ottica di quello che si è acquisito durante le singole sedute di psicoterapia, non può essere altrimenti, anzi, questa breve insofferenza è l’unico riscontro tangibile che si sta procedendo verso una positiva ristrutturazione del pensiero, una strada nuova rispetto alle soluzioni provvisorie che la mente ha saputo darsi fin qui.
Bisogna scavare, assestarsi, “generare risposte emotive alternative” (come dice la terapia emozionale di Greenberg) per consolidare il processo iniziato con lo psicoterapeuta.
Accogliere il dolore del cambiamento è imparare a non arrendersi, a mettersi in gioco; è imparare a rialzarsi, a sfidare paure e timori con la pratica della semplicità, ovvero, trovando dentro di noi, la risposta ai sintomi delle varie difficoltà, siano esse ansie, fobie, problemi di coppia, tristezze, lutti o difficoltà sessuali.
Non cerchiamo in eterno ciò che ci potrebbe far rivivere. Ad ogni uomo basta vivere. Per ogni vita c’è un solo uomo.
Continua
Lo Studio BURDI è anche Mediazione Familiare
Lo Studio BURDI è anche
Mediazione Familiare
per Roma e Bari, visitalo, lo trovi online su
Per rimanere aggiornato
iscriviti sul sito alla newsletter.
Che cos’è
Mediare significa, accordare le parti, non si tratta di un semplice accordarsi attraverso un comune dialogo, ma attraverso l’ausilio di metodologie specialistiche con studiosi del conflitto di coppia e giuristi, quali lo Psicoterapeuta e l’ Avvocato Mediatore Famigliare.
La mediazione familiare è una disciplina, che prevede studi specifici, che analizza, si prende cura ed è rivolta a migliorare, in modo pragmatico, le relazioni di coppia orientate alla separazione o al divorzio, al fine di rasserenare la qualità della vita di ogni componente, di migliorare la relazione con i figli, ed inoltre, accordarsi sulla gestione patrimoniale.
Obiettivi e Benefici
La Mediazione Famigliare:
attenua notevolmente i conflitti della coppia separanda, separata o divorziata;
conduce ad un accordo soddisfacente;
riduce la frustrazione degli avvocati delle parti, avendo la funzione di ammortizzatore dei conflitti, smorzati attraverso gli strumenti della mediazione familiare;
semplifica, snellisce e da rapidità al lavoro del Giudice, nello stilare il provvedimento;
esonera i figli dai conflitti e ripristina una comunicazione decisamente più civile fra gli ex;
aiuta i figli all’adattamento alla nuova condizione e previene eventuali alienazioni parentali;
non può costituire prova testimoniale, perché è super partes, ed è incompatibile con il ruolo del Consulente Tecnico di Parte. Pertanto la Mediazione Famigliare non può essere una CTP.
non rilascia certificazioni distinte alle parti, ma solo documentazioni comuni di accordo, qualora si raggiunga;
la mediazione familiare evita lunghe cause, con notevolissimi risparmi sulle spese, estenuanti litigi dolorosi, in prospettiva, di una separazione più consensuale, che giudiziale
giorgio burdi
ContinuaLE EMOZIONI SONO INTELLIGENTI: Segui il tuo flusso, il tuo numero Uno
LE EMOZIONI SONO INTELLIGENTI:
Segui il tuo flusso, il tuo numero Uno
Nel celebre libro “Intelligenza emotiva” Golemandefinisce il “flusso” (dall’inglese “Flow”) come lo stato di grazia nel quale chiunque di noi riesce a compiere attività ad alte prestazionie con il minimo sforzo.
Il flussonasce dall’incontro tra abilità proprie in un certo campo e le sfide che si presentano. Il segreto è l’equilibrato bilanciamento delle due, indovinando il giusto centro al di sopra di quel livello di impegnominimo che genera noia, e al di sotto di quella data pressione che produce solo ansiae stress.
Chi sperimenta lo stato di flussotende ad estraniarsi momentaneamente dalla realtà, immergendosi in una condizione di trance, in cui il concetto di tempo e di spazio perdono priorità e vengono distorti. Secondo Goleman agire in uno stato di flusso significa lasciare scorrere libera l’intelligenza emotiva al suo massimo stato di espressione. Il flusso è coinvolgimentototale e operativo, focus, passione, creativitàa lavoro.
La gratificazioneche ne risulta dipende dalla mansione che si sta svolgendo, naturalmente. Ciascuno di noi ha delle aree di preferenza, laddove è più facile sperimentare lo stato di flusso.
Un musicistalo avrà senz’altro provato durante un’esecuzione strumentale, uno scrittorenella composizione scritta, un pittoredurante le sue pennellate più delicate, uno sportivodurante lo svolgimento di un’attività agonistica (si parla in questo caso di trance agonistica).
Ma imparare a comprendere e a riconoscere questo stato può consentire di applicarlo a qualunque lavoro si debba compiere. Anche nel lavoro di tutti i giorniin ufficio. Ogni piccolo progresso nel campo in cui ci si vuole applicare consente infatti di innalzare la soglia di sforzo minima necessaria a continuare ad avvertire lo stato di flusso, incrementando di fatto progressivamente la propria prestazione.
Agire in stato di flusso significa ritrovare in se stessi la motivazione intrinseca, scevra di giudizi esterni o auto osservazione giudicante. E’ una percezione della realtàchiara in termini di obiettiviprefissati e di focussu come conseguirli. E’ dunque appagamento, piacere, autostima, senso di controllo.
In termini medici coincide con livelli equilibrati dei tre principali ormoni regolatori dello stato emotivo:
− Dopamina, che regola il livello di motivazione e appagamento
− Serotonina, che stimola il buon umore
− Ossitocina, che genera empatia
Il fenomeno portato alla luce da Golemannegli anni ’90 (e ampiamente studiato da numerosi psicologi cognitivi come Csíkszentmihályigià molti anni prima) fa da eco ai concetti di “Ki” o “Praan” già noti nelle religioni Zenorientali, dove la tecnica per il raggiungimento dello stato di flusso si basa sull’arte spirituale della meditazione.
Trova poi applicazione nelle discipline marziali, dove con il termine giapponese “Mushin”, o l’equivalente cinese “Wuxin”, si fa riferimento ad un particolare stato mentale in cui i maestri altamente addestrati in tali arti affermano di essere di in grado di entrare, prima di un combattimento.
La buona notizia è questa: anche se non siamo grandi maestri di arti marziali, artisti professionisti o sportivi agonistici, lo stato di flusso è alla portata di tutti. E’ sufficiente un piccolo sforzo iniziale, per poi lasciare il nostro puro istintolibero di divertirsi.
simone
Continua
Dall’ abuso all’ omosessualità: Giacomo e il suo pedofilo
La Torta, simbolo di eventi e di inno alla vita.
LA TORTA
Simbolo di eventi e di inno alla vita.
Non c’è simbolo più rappresentativo di un evento, la torta, essa è un inno alla gioia, rappresenta la festa delle feste, la luce in fondo al tunnel, l’arrivo dopo la fatica, il coronamento di uno sforzo.
La torta è la bontà contro gli scempi, è la reazione alle delusioni, alle severità, è un ritorno a se stessi, alle cose proprie, al gusto della vita, è la sintonia con se stessi, è il volersi bene, il sano egoismo.
Essa è l’eros per eccellenza, è la voglia di vita contro le fatiche del quotidiano, è il bisogno di festa, è la luce della linfa che scorre, è cercarsi un trucco, un rossetto al color di sangue porpora, è una matita un vestito celestiale, è la voglia di esistere sull’ arroganza, sul dolore che talune relazioni dispensano, contro il baratto e l’ esattoria della vita.
La torta è priscio, entusiasmo, uascezza, cazzeggio, lasciarsi andare in un ballo scomposto, ma coordinato di se, la torta è il botto della festa, è l’ artificio dell’ evento.
In natura noi siamo positivi, Vitali, siamo torta, diabetici di dolcezza per la vita.
La torta è la morbidezza di una coccola, soffice come la panna, profumata di vaniglia come una stagione, con un abito di seta celeste profumato di caramelle che ondeggia al vento.
Chi fa torte non si deprime, reagisce, non soccombe è creativo, non ossessivo, è festoso, non rimugina è propositivo.
La festa è profumo inebriante,sapore,coreografia, delicatezza e bellezza come il sorriso dopo una lunga fatica, la torta è senso di positività, istinto del buono, alle antipodi del controllo, dell’ aggressività dello sforzo e di qualsiasi bruttura.
Dovremmo avere una torta in qualsiasi angolo della nostra testa, per tirar fuori quell’ allegria, quella giovialità e costruttività insita in noi, che i fatti della vita tendono a spegnere, facciamo festa sempre, una torta spesso, per esorcizzare la negatività.
giorgio burdi
ContinuaESISTE LA NORMALITÀ ?
ESISTE LA NORMALITÀ ?
Non ci sono pazienti da curare, ma persone da riportare a se stesse.
Ognuno di noi è una sintesi continua di contraddizioni tutte da considerare, nessuna da escludere. Noi ed esse siamo la stessa cosa.
Per una persona, possiamo definire il proprio stato confusionale, uno stato di norma. Pensare, affermare e dire tutto e il contrario di tutto, esprime sia una condizione irregolare e regolare.
Percepiamo ed agiamo, pensieri, sensazioni ed azioni, con inesorabili turbamenti per le diverse ambivalenze, esse andrebbero accolte ed accettate per poterle cambiarle.
In realtà avviamo una danza tra affermazioni e negazioni , accettazioni e rifiuti con negoziazioni continue, tutto ciò accade in un balletto continuo mentale tra noi e gli altri.
Ci sentiamo smarriti all’ interno della nostra ambiguità, per un costante dialogo interno tra noi e il mondo.
Paradossalmente per ovviare alla solitudine, ci consoliamo, conformandoci e allineandoci agli altri.
Il conformismo e il compromesso che facciamo con il mondo delle relazioni, rappresentano il farmaco contro la paura di sentirci diversi e isolati, ragioniamo e decidiamo a vantaggio loro, con la conseguente frustrazione di rinunciare a noi stessi.
La solitudine è il vero incontro con se stessi e la sua sofferenza rappresenta l’appuntamento con la propria unicità e originalità, al quale vorremmo mancare, la solitudine è l’unico vero luogo di incontro con noi stessi.
La ricerca degli altri, come evitamento, della solitudine, introduce, alla necessità di conformarsi agli altri e al contemporaneo desiderio di isolarsi per la delusione che l’incontro con gli altri comporta.
Il compiacimento, il buon senso, la mediazione, il compromesso, rappresentano tutti la negazione e l’ alienazione di se.
I regolamenti e le leggi sono direttrici di conformità, omologazione sociale e di ordinamento del rispetto delle individualità .
Per rispettarci dobbiamo necessariamente essere omologati !?
Evitiamo la solitudine per fuggire i nostri fantasmi, andrebbe attraversato oltre il suo tunnel per ritrovare la nostra luce, integrando le nostre parti contraddittorie.
Ma in tal senso esiste un evidente contraddittorio anche in questa direzione: come può una norma omologante, promuovere l’ individualità, garantendo contemporaneamente il rispetto delle libertà e dei bisogni di tutti ?
Legiferare è molto arduo ed è una operazione molto complessa, così come è tanto più complesso mantenere la democrazia per tutti.
È molto semplicistico schierarsi a destra o a sinistra ed è del tutto scontato, ci si illude di appartenere ad una coalizione per garantire la propria individualità, ma . La vera promozione dell’ individualità risiederebbe in una democrazia garantista di ogni soggettività .
Una democrazia per quanto possa essere onnicomprensiva, nel senso di comprendere, esprimere e capire tutti, dovrebbe essere utopistica. Solo uno sforzo ed una visione utopistica, metterebbe in condizioni di cogliere lo spirito di ogni uomo.
La linearità e la conformazione agli altri è un atto di socializzazione. L’uomo è un contraddittorio continuo rispetto a se e rispetto agli altri, è questo che lo rende unico, diverso e qualificato. Sartre definisce l’uomo un inferno.
Pertanto dove è la normalità, se in ognuno di noi, nella nostra ambiguità e follia risiede la nostra essenza e il vero incontro con noi stessi ?
La normalità è il rispetto delle follie di tutti, perché in ogni nostra follia, piaccia o no,!c’è L’ UNICO, il totalmente altro, rispetto al mondo che ci circonda.
Se la patologia e la follia è malattia solo perché siamo tutti UNICI, allora la malattia e la normalità non esiste, sono definizioni semplicistiche ed obsolete, esiste solo L’ UOMO.
giorgio burdi
ContinuaIL PROBLEMA È LA SOLUZIONE
IL PROBLEMA È LA SOLUZIONE.
Quando tocchi il fondo, inizia la salita.
“Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e ad uscirne vivo.
“Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”
così recita il passo di un libro dello scrittore giapponese Haruki Murakami, ed è così che mi sento io, solo che io so come ho fatto ad attraversare la tempesta: con la psicoterapia di gruppo.
Ero in uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica, a causa della gravissima e improvvisa crisi del mio matrimonio, in preda ad una grande sofferenza interiore che mi logorava.
Una vita intera trascorsa con un’unica donna da quando ero solo un’adolescente, una donna che aveva scaricato su di me delle problematiche sessuali che io, per inesperienza, per insicurezze profonde e anche per scarsa autostima non ero riuscito ad affrontare e che avevo subito per anni.
Ad un tratto lei sembra averle risolte con il suo amante e, da quel momento in poi, sono stato offeso, respinto, buttato nella pattumiera, vilipeso nei miei sentimenti più profondi, lasciato in mezzo ad una strada perché ormai inutile, sentendomi ripetere come un mantra “rifatti una vita, perché io non ti voglio più!”, così, all’improvviso.
Io rifarmi una vita? Io che in vita mia non avevo mai dormito se non con lei, io che dipendevo completamente da lei, io che non avevo una mia identità al di fuori della mia famiglia.
Io che, purtroppo, continuavo ad avere quelle insicurezze che poi avevano portato al fallimento del mio matrimonio. Ero disperato, distrutto, mi vedevo solo, in preda ai miei mostri, che popolavano notti insonni, contro cui nulla potevano gli ansiolitici.
Fu così che ho deciso con coraggio di rivolgermi al dr.Burdi e alla psicoterapia, sono trasecolato quando mi è stata proposta la psicoterapia di gruppo, la ritenevo assurda, ma è stato proprio lì, nel rispecchiamento con gli altri che ho trovato la forza di andare avanti.
Speravo di salvare il mio matrimonio, non ce l’ho fatta, ma, cosa molto più importante, ho salvato me stesso. Ho guardato in faccia le mie paure, le mie insicurezze, ho creduto nel gruppo e nello psicoterapeuta anche quando non ci credevo, ho eseguito il percorso anche quando non ne ero convinto, solo così ho creduto in me stesso.
Nel giro di alcuni mesi ho ottenuto qualcosa che forse non avrei mai ottenuto, se non dopo anni di sofferenza. Ho capito che il mio problema era la soluzione, sono andato a vivere da solo, ho imparato a badare a me stesso, ho reciso ogni legame con quella che era diventata solo una dipendenza affettiva.
Ho mantenuto integro il mio ruolo di padre, ho capito che amo la vita e voglio viverla, mi sono avvicinato ad un’altra donna instaurando una relazione intima più sana, stupendo anche me stesso e mettendo di nuovo insieme i cocci di quei sentimenti che mi erano stati fatti a pezzi.
Ho cambiato amici, ho intrapreso nuovi hobby, mi sono aperto al mondo e alla gente, ho raggiunto quel sano egoismo che prima non mi apparteneva, ho imparato a vivere l’ “hic et nunc”, “l’ora e l’adesso”, senza pensare troppo all’angosciante futuro.
E’ così che ho attraversato la mia tempesta, in effetti non so se l’ho attraversata del tutto, a volte resta il timore di tornare al punto di partenza, ma ripeto a me stesso che questo non è possibile.
Solo con una potente autostima si può vivere serenamente la propria vita, solo credendo in se stessi, ce la si può fare, anche quando tutto sembra perduto.
P.S. Mi è costato molto scrivere queste righe, ho pianto per la commozione mentre lo facevo, perché ho rivisto la mia triste e dolorosissima storia scritta nero su bianco, ma l’ho fatto, perché non ho più paura, perché spero che possa servire agli altri, a chi crede che tutto sia perduto, a chi vede tutto nero, a chi non spera più e invece non sa che proprio il problema è la soluzione.
Simone
ContinuaGODERSI LA VITA
GODERSI LA VITA.
Essere edonisti di se stessi.
Di nuovo. Forse per la prima volta. Ho sempre pensato che la vita fosse una continua sfida per dover dimostrare agli altri, non a se stessi, di valere.
Sforzi spesso eccessivi in cui non ci si sente mai abbastanza per chi ci sta intorno ma, chi pensa poi a noi?
Ecco, seguendo il percorso con il dottor Burdi, ho scoperto finalmente il valore del termine Pazienza.
Tutti meritano amore, tutti meritano emozioni, ma spesso tutto già ci appartiene se si scopre che per prima cosa toccherebbe avere amore per se stessi e trattarsi come giusto che ci meritiamo.
Le cose volgeranno come vogliamo noi poi, perchè non dobbiamo dipendere da nessuno se non a noi stessi.
Tocca iniziare quasi con un atto di fede buttandosi veramente a voler stare bene ed uscire dall’ombra.
Spesso si facevano buone azioni sperando che ci ritornasse indietro, spesso allontanavamo le emozioni perchè timorosi di gestirle, spesso ci si arrabbiava perchè incompresi e sottovalutati.
Io ero un digrignatore professionale, sapevo di valere ma nello stesso tempo ne dubitavo, causa esperienze che mi portavano a ricredere delle mie capacità, quando spesso il problema non ero io ma chi mi stava intorno, che sia famiglia-amicizia-relazioni sentimentali.
Ero arrivato a somatizzare le mie emozioni soffocate, soffrendo anche fisicamente, poichè accumulavo sempre di più tutto, perchè era entrato in un circolo vizioso in cui dovevo dimostrare ma non vedevo riconoscimenti, confondevo un istintoa cui mi affidavo molto, con l’impulsività, cedendo spesso così a conclusioni sbagliate,rimuginando molto successivamente.
Quanti treni persi mi dicevo. No. Quanti ancora invece ne devo prendere ora, penso, e non ho più paura di provarci.
Perchè ho imparato dal percorso della Stanza degli Specchi, proiezioni, che riconoscendosi nelle storie degli altri, si crea un’alchimia, un’empatia che prima o poi colpisce tutte le persone del gruppo, portando di conseguenza delle sensazioni di ”appartenenza”, spirito di Squadra e di cura.
Esatto, riconoscersi in sentimenti, episodi simili o emozioni provate, ti fa sentire parte di qualcosa, non più pecora nera smarrita e allora riporta alla luce quella forza che pensavi di non avere.
Ricostruirsi quindi, con Pazienza, seduta dopo seduta, per arrivare alla meta finale.
Sono contento quindi di poter pensare che questa mia personale esperienza, questo mio percorso, possa un giorno far rispecchiare qualcuno per poter dire ”Just Do It”, per essere una testimonianza in grado di colpire empaticamente chi vuole veramente cambiare, in meglio. Una volta per tutte.
Siamo noi stessi la cura, siamo noi a doverci credere per prima e saremo noi un giorno a ringraziare noi stessi per non aver mai mollato.”
P
Continua