La vita amorosa
tra desiderio e turbamento
C’è un bisogno innato nell’uomo di misurarsi col limite e con il conflitto tanto da cercarlo, da voler toccare il fondo, nella convinzione che solo in un momento così basso un uomo rivela, a se stesso e agli altri, esprime tutta la propria ricchezza interiore costretto ad entrare nel profondo di se.
Un’altra testimonianza di questo incoercibile bisogno riguarda il versante dell’esperienza amorosa, quello che potremmo definire ’l’abisso degli amori perturbanti’.
Egli avverte il bisogno ineluttabile di inseguire amori letteralmente sconvolgenti, che attraggano e sgomentino se stesso sulla base di una ipotetica serenità e su una ricerca di emozionabilità che lascino intravedere una felicità immensa, spaventosa per il pensiero, perché svela una felicità che la vita non poteva seguirla.
La donna incarna nella realtà esterna un’immagine che ogni uomo porta da sempre dentro di sé, l’immagine della sua anima.
Come un uomo incarna nella realtà esterna una fisicità che ogni donna porta in se come immagine di sicurezza. È in questo binomio l’origine dell’ attrazione amorosa.
Amare significa proiettare questa immagine su una creatura reale. Bisogna passare attraverso questa esperienza per capire a fondo il pericolo dell’amore, l’opportunità che esso ci offre è di sperimentare un turbine di emozioni profonde e contraddittorie, che difficilmente potrebbero emergere in altre circostanze.
La felicità a cui si accede è, spaventosa’, per una condizione considerata invidiabile per le diversità che sono allo stesso tempo, affascinanti e tremende e che conducono nel campo del ’perturbante’ dell’esperienza amorosa.
Il perturbante rivela ciò che è tenuto nascosto e trasforma il noto in ignoto, il reale in fantasma inquietante. I fantasmi, i mostri che popolano la narrativa, non sono che personificazioni del nostro mondo interiore invisibile, immaginativo, è tutto ciò che sarebbe dovuto rimanere nascosto, segreto, e che invece affiora alla coscienza attraverso il perturbante.
Ci turbiamo per ciò che supponiamo esistere come fantasma e che vediamo a tratti e solo il tempo della relazione darà ragione di esistere.
Nell’esperienza amorosa dell’uomo l’apparizione della donna risveglia tutto un universo di emozioni, di intuizioni profonde, di corrispondenze misteriose, di trasformazioni interiori, che lo turbano e che, mentre lo affascinano, lo aprono alla vertigine, al presentimento inquietante che la vicenda amorosa trasporti, chi la vive, in una regione sconosciuta e irta di pericoli: Da quando si ama ci si sente felice, ma, nello stesso tempo, perduto… per l’ altro.
La passione, per la donna o per l’uomo, avvicina a questo abisso perturbante, e così è per ognuno di noi. Quando una figura femminile o maschile si installa da protagonista nella nostra immaginazione, finisce col monopolizzare non solo le nostre emozioni e i nostri desideri, ma rappresenta l’ emancipazione e l’annientamento di se.
“La donna, nella sua bellezza tremenda, è insieme possibilità trasformatrice e vortice, promessa e minaccia divoratrice, vita e morte. Il suo essere delizioso ha fatto sorgere nell’ animo qualcosa d’immenso nel quale potersi perdere, perdere se stesso, le contingenti progettualità, ella rappresenta la follia, un sogno appetibile ed insensato che non sa dove posarsi; perché il suo candore lo induce a credere che sia pericoloso, che sia misterioso e terribile avventurarsi nella sua vita” (Bousquet, Lettere a Fany [epistolario inedito], 1927-37, 13).
È un errore allontanare certe immagini seduttive, ma inquietanti, che si affacciano alla nostra mente.
Esse possono essere le immagini ancestrali della nostra bella o frustrata infanzia che ci riportano in vita la figura della mamma forte, delicata, misteriosa e, concreta e bella.
Abbiamo bisogno di accoglierle, dar loro voce. Nella terminologia junghiana, si tratta di confrontarci con le ombre dell’ inquietudine con la parte più oscura del nostro essere, con l’aspetto “notturno” della nostra personalità, con la carica dirompente delle emozioni per poter crescere, per scorrere dall’ oblio, al colore di certe bellezze.
L’educazione che abbiamo ricevuto ci impone un controllo continuo delle nostre dinamiche d’ombra, e in definitiva delle nostre emozioni, sin dall’infanzia. Il bambino viene apprezzato in relazione allo sviluppo delle sue capacità cognitive, alla razionalità e all’efficienza, mentre la sua vita emozionale non solo viene sottovalutata, ma spesso biasimata o addirittura punita.
Nella repressione di queste istanze si celano, naturalmente, le paure dell’adulto. Il bambino si accosta al mondo delle emozioni, per lui in larga parte ancora poco conosciute, con molta più naturalezza e spontaneità dell’adulto, solo attraverso il gioco riesce ad accedere a una comprensione ’naturale’ dei misteri della vita.
Il sesso, la morte, la nascita sono eventi che nell’adulto si associano a emozioni perturbanti, mai completamente sondate e analizzate.
La condizione amorosa intacca la corazza difensiva dell’Io, permettendo all’uomo di giocarsi in tutte le proprie sfaccettature, anche le più imbarazzanti, così come avviene nel lavoro analitico.
Nella terapia, è l’Eros la forza che smantella le difese del paziente e gli permette di sentirsi vivo sulle difese degli imbarazzi.
Lungo la pratica analitica di consente di riconoscere subito l’atteggiamento specifico difensivo del paziente.
La difesa consiste il più delle volte nella razionalizzazione e giustificazione degli eventi, cioè nel riordinarli secondo un tracciato logico che li rende coerenti e razionali al mondo, così da illudersi di poterli controllare.
L’analista dentro di sé sorride, perché sa bene che la funzione di certe elucubrazioni mentali è proprio quella di imbrigliare emozioni e sentimenti a processi di razionalizzazioni che, lasciati emergere liberamente, potrebbero produrre effetti rovinosi; ma sa anche che quel timore è infondato perché nel setting si stabilisce un vincolo profondo che unisce analista e paziente, una coppia di cui l’uno, addestrato a navigare in mari burrascosi, riesce a guidare, l’ altro timoroso portato a lasciarsi condurre dalla diffidenza alla fiducia in se.
giorgio burdi
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