La genitorialità disfunzionale può essere la causa delle disfunzioni del tono dell umore dei figli, della melanconia, delle tristezze o della depressione di fondo.
Caro papà,ti scrivo semplicemente per dirti o, meglio, per urlarti: “Eccomi! Ho già 27 anni. Sono qui! Vuoi o non vuoi, io esisto!” Perché io esisto, che ti piaccia o no! Invisibile, è così che mi hai fatto sempre sentire. Di poco conto, è così che costantemente mi sento. E ciò che più mi assillava e oggi, più di ieri, mi tortura è la risposta ai miei Perché. Risposta che ancora non è arrivata.
Non riuscivo a darmi una misera spiegazione, sino a che, parlando giorni fa con mamma, ho saputo dei tuoi dubbi sulla gravidanza, sul timore che io non fossi tua figlia. E allora, tutto si è fatto più chiaro. Ma Perché quando mamma ti ha proposto di fare il test sul DNA, per dimostrarti che le tue erano solo assurdità inculcate da tua madre, non sei andato a fondo? Perché hai voluto convincerti di un qualcosa che convinto, invece, non ti ha? Sai, mi avresti fatto uno dei più grandi doni, dopo il tuo fenomenale goal con lo spermatozoo, Perché probabilmente non mi avresti fatta sentire figlia di nessuno, non mi avresti “abbandonata in casa”.
Ultimamente ti sto pensando cento volte al giorno e mi immagino la tua vita passata, mi faccio mille domande sulle tue esperienze, sui tuoi desideri, su quali possano essere le tue paure o i tuoi pensieri, e vivo l’angoscia di non sapere quasi nulla di te, di conoscerti appena. Non riaffiora neanche un momento vissuto insieme intensamente, io e te…solo io e te.
E dunque non ho neanche un misero e nostalgico ricordo a consolarmi, uno di quelli che inevitabilmente rubano un sorriso. Solo umiliazioni, solo maledette e continue umiliazioni… e quello schiaffo datomi ingiustamente sul sedere a 5 anni, perché Anna (mia sorella) era caduta mentre giocavamo, che mi ha lasciato per giorni un’ematoma, più nera che rossa, come se avessi colto quell’unica occasione per sfogare la tua rabbia verso il mondo o, semplicemente, verso di me.
Con te non mi sento mai a mio agio, vivo un continuo imbarazzo: segno di un rapporto mai esistito, come l’isola che non c’è di Peter Pan, posso solo immaginarmelo. Posso vivermelo nella fantasia o commuovendomi d’innanzi a un padre che con dolcezza rimprovera il figlio o lo abbraccia con amore, senza esitare, senza pensare.
Mai una carezza, o una parola confortante, o uno sguardo complice. Mai un consiglio, o un “come stai?”. Dovevo cercare una psicologa qui a Bari, per trovare tutto questo. Hai appeso al chiodo la parola “padre” e ti sei dimesso dal lavoro più bello che al mondo possa esistere e che non tutti possono godere, essere e fare il genitore.
Non mi sono mai sentita libera anche nel chiederti un favore miserabile, perché, seppur alla fine me lo concedevi, era privo di entusiasmo e del piacere di farlo. Per non parlare delle lamentele che ho dovuto subirmi prima di averlo quel favore, manco ti chiedessi la luna! Ecco Perché mandavo sempre mamma. Passaggi: sono questi gli unici favori che mi sono permessa di chiederti, sin da piccolina.
Mai un capriccio, mai una richiesta, sempre donna già da bambina, perché chiederti un qualcosa significava farmi venire l’ansia a tremila, preferisco cavarmela da sola, senza di te, come ho sempre fatto. Ora ti chiedo: pensi che essere padre significhi solo mettere al mondo la prole e poi chi s’è visto, s’è visto? Persino gli animali proteggono e si prendono cura dei propri piccoli, persino loro li insegnano a stare al mondo.
Ma hai mai provato a compiere quella tanto conosciuta operazione mentale che comunemente va sotto l’espressione “mettersi nei panni altrui” ? Visto che l’ empatia sarebbe stata cosa molto più complessa per te. Bene, quell’ “altrui” sono io che fino a smentita pubblica o privata, sono tua figlia, che tu lo voglia o no, che io lo accetti ancora o no a queste condizioni.
Condizioni alle quali per lungo tempo non si da molto peso, condizionati da una sorta di abitudine imposta, ma col trascorrere degli anni, sono cose che fanno sempre più male e che in definitiva spengono quella speranza sempre viva, anche se illusoria, che le cose possano cambiare…e lasciano il posto alla disperazione.
E’ così che mi sento oggi, adesso…disperata, persa. Mi sono affacciata nella tua vita sempre in punta di piedi, senza mai alcuna pretesa, sacrificando le mie esigenze morali e materiali, ho rispettato “la consegna del silenzio”, quella che tu, direttamente o indirettamente, mi hai dettato.
La mia vita si è chiusa in un cerchio di paure, ansie, paranoie, ingiustizie e umiliazioni nel quale, io colpevole, si è trovato anche Ugo, la persona che ho di più caro al mondo, perché tristezza e solitudine sono come una malattia contagiosa e devastante anche per chi ci vive affianco. E ora per Ugo, il mio Amore, mi sento terribilmente in colpa, responsabile di ogni infelicità, di ogni solitudine, di ogni difficoltà, di ogni mancanza; per Lui sono disposta a tutto, voglio che abbia un presente e un futuro di serenità, che io sinora non ho mai avuto, non ho ancora conosciuto, “grazie” anche a te; per Lui posso trovare il coraggio di fare tutto, anche di fare ciò che non ho fatto per me, perché, non amata, non mi sono mai amata.
Ho 26 anni, sono una donna, mi sento una donna ma, allo stesso tempo, sono così fragile, così piccola, così ridicola, perché è inaccettabile che da un passo dal diventare genitore, dall’essere mamma, mi stia ancora chiedendo cosa significhi essere figlia di un padre, perché un padre, seppur vivo, io non l’ho mai avuto.
E’ come se avessi sempre camminato con una sola gamba, la caduta non è certa ma molto probabile.Certe cose si accettano per un insieme di motivi anche perché quando ci si trova nel deserto della solitudine, si mangia sabbia! In tutta questa situazione, madre dell’immenso dolore che porto nel cuore, anch’io ho le mie colpe: forse avrei dovuto, anziché restare scheletro nell’armadio, rivendicare la mia appartenenza, i miei diritti e rifiutare la condizione impostami.
Lo faccio ora con questa lettera, facendo ancora una volta io il primo passo, il primo passo verso te.Vorrei non nutrire rancore e rabbia che mi farebbero ancora vivere male, ma che sarebbero naturali allo stato attuale delle cose; vorrei un minimo di giustizia, tardiva ma probabilmente riparatrice che tu potresti darmi, se solo lo volessi. Ma la volontà altrui, come i sentimenti, non si possono imporre o comandare, ma solo stimolare con le parole e con gli atteggiamenti, non altro.
Per quanto mi riguarda, il dolore e la solitudine unite alle umiliazioni che continuo a subire ogni volta che sono con te, non cesseranno di esistere fino a che uno di noi due prenderà una decisione, difficile, dolorosa, ma necessaria moralmente per entrambi: parlarne apertamente, per poi, magari, abbracciarci per la prima volta.
Fa che d’ora in poi non sia solo il cognome a legarci. Mi preme sapere se tu, papà, mi vuoi o non mi vuoi come figlia, aldilà di un legame di sangue che alla fine non fa di una persona un genitore e dall’altra una figlia.
Ci tieni a me? Sono importante per te? Mi vuoi bene? Mi vuoi bene? Mi vuoi bene?Sono a un soffio dal non esistere. Lo sono sempre stata. Ma esisto, io esisto! Ma esisto male per te.
TUA figlia
Adele
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