Tradire sé stessi, per crescere.
CERCARE LA VERITÀ
Uno dei più grandi paradossi della nostra esistenza è “quello di comportarci in modo da garantirci l’infelicità. Molti di noi trascorrono la vita a camminare consapevolmente verso il rimorso, il rimpianto, il senso di colpa e la delusione. E non c’è situazione in cui le nostre ferite sembrano più casualmente autoinflitte, o le sofferenze che creiamo più sproporzionate rispetto alle necessità del momento”. La considerazione è di Sam Harris, filosofo e neuroscienziato statunitense che, nel 2013 pubblicò un saggio dal titolo: “Bugie” (Roi Edizioni). Qui teorizzava la possibilità di rivedere i legami sociali, alla luce dalla pratica dell’onestà allontanandola, però, da qualsiasi intento moralistico. Con riferimenti pratici, dimostrava quanto l’esser sinceri, con sé stessi e con gli altri, riuscisse sempre a far ottenere risultati vantaggiosi e giusti per ciascuno, semplificando la vita e aprendo l’individuo ad una crescita personale coerente, poiché mentire è “la via maestra che conduce al caos”.
Chi più, chi meno, tutti fingiamo (lat. fingo: plasmo, simulo), seppur in buona fede, ma, questa cattiva abitudine finisce col complicare le situazioni, compromettendo, alla fine, il nostro modo di interagire col prossimo. Rischio che riguarda anche la salute psicofisica, dato che tutte le nevrosi trovano terreno fertile nelle verità riplasmate in base alle nostre esigenze. Una riflessione già percepita da Adler: “una bugia non avrebbe senso se la realtà non fosse percepita come pericolosa”. Harris insiste sul concetto e porta il vezzo all’inganno come vero strumento antisociale: “Mentire è sia non capire che non voler essere capiti; significa sottrarsi alle relazioni”.
Il fenomeno dell’antisocialità e del progressivo indebolirsi delle relazioni umane venne preso in oggetto anche da un sondaggio Ipsos del 2023. Le indagini indicarono come tra le cause percepite dai singoli, sul perché di questa frantumazione solidale ci fossero motivazioni riscontrabili in un netto disagio nell’assumersi le proprie responsabilità e nell’incapacità di adattarsi all’altro. Il quadro generale riportava una dilagante sfiducia sia nelle proprie risorse che nell’umanità in generale. Nulla di nuovo, insomma, se riportato alla teoria di “società liquida” (Bauman) sfuggente e superficiale che ha perfezionato il suo itinerario con la “Fine dell’amore”: «La nostra libertà si esercita nel diritto a non impegnarsi o a disimpegnarsi dalle relazioni, un processo che potremmo chiamare la scelta di annullare la scelta: la possibilità di uscire dalle relazioni in ogni momento» (Illouz 2020).
CERCARE LA VERA LIBERTÀ
La “possibilità di uscita” è, per dirla tutta, una grande menzogna che continuiamo a raccontarci. Ogni distacco è un trauma e come tale andrebbe consapevolmente elaborato. Definirsi liberi non può prescindere dalla lealtà dei sentimenti. Scopo della psicoanalisi, come dice Carotenuto, è quello di smascherare; dare la possibilità, ad ogni paziente di “tradire” le proprie convenzioni e le proprie convinzioni. Riposizionare (lat.: tradere) il Sé può aiutarci a riattribuirci un senso, a guardare con empatia all’altro e, infine, a rimparare ad amare. Tutto sta nella nostra disponibilità ad emanciparci e a voler crescere. Ma cosa ci muove verso la crescita? Per Jung, bisognerebbe: “confessare a sé stessi il proprio vivo desiderio. Molti hanno bisogno di un particolare sforzo d’onestà. Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te”. (Libro Rosso). Lacan ha fondato la sua ricerca psicoanalitica su questo concetto di Desiderio, “la condizione assoluta” dell’uomo che lo porta a poter ridare senso alla vita, a “guardare in alto” (de-sidera). Desiderare è vivere. Desiderare è ricercare sé stessi, guardando agli altri in modo onesto, libero e svincolato dalle impostazioni mentali, pervenuteci dalla famiglia, dalla società o dalle sovrastrutture che hanno come fine quello di dominarci.
TROVARE SÉ STESSI E IL MONDO
Molto probabilmente, l’ultimo capolavoro di Yorgos Lanthimos, Povere Creature! (Poor Things, 2023/141’) ci porta vicino, alla spiegazione di queste dinamiche. Il soggetto del film si ispira all’omonimo romanzo (1993) dello scrittore scozzese Alasdair Gray. La trama verte sul cammino d’emancipazione della protagonista Bella Baxter, creatura restituita alla vita, grazie ad un inverosimile trapianto di cervello del feto che aveva in grembo. La sua formazione umana consisterà in un continuo tradimento di tutto ciò che la circonda e questo in nome del suo innato Desiderio di sperimentazione e conoscenza.
In sequenza: tradisce le attese del suo padre-creatore Godwin che la vorrebbe rinchiusa in una lugubre e infernale casa-laboratorio; tradisce le pretese dell’avvocato Duncan Wedderburn, dei suoi sentimenti asfissianti, delle sue promesse di libertà (in pratica tende anche lui a rinchiuderla nel suo mondo maschilista); tradisce le attese del giovane studente Max McCandles che la vede scappare lontano dal suo cuore. Tradisce perfino la sua stessa formazione, quando chiede al cinico Jerrod Carmichael, di portarla a conoscere gli abissi del mondo. Tradisce, infine, l’arroganza del suo ex marito (quello che la portò al suicidio), quando gli fa capire che preferirebbe morire daccapo piuttosto che scendere a patti con la sua mente caprina incline all’ uso delle armi, della violenza e dell’arroganza, per assoggettare le volontà di chi lo circonda.
Non possiamo notare che il regista usa con padronanza molti simboli e riferimenti letterari, per far emergere il costante lavoro di emancipazione di Bella. Due, tra i più significativi: il viraggio dal bianco e nero al colore, quando Bella lascia la “casa familiare” spinta dalla voglia di conoscenza e l’uso del fisheye come rimando al pensiero critico. Bella si ribella ad ogni definizione, dichiarandosi come persona imperfetta a cui piace sperimentare: “Io devo partire, vedere il mondo e c’è così tanto da scoprire”. La sua libertà è sincera. Vive il mondo senza alcuna dipendenza, lo usa, se vogliamo, senza cedere alle sue trappole.
Il film, non è solo un manifesto femminista vuole essere un omaggio alla possibilità che abbiamo di cambiare. Difatti, nelle scene finali, troviamo altre figure che hanno abbandonato i loro soliti schemi esistenziali. Basti pensare a Godwin che da malato terminale, concretizza di non poter possedere nulla, né le sue creature e neanche l’imprevedibilità della morte che pur aveva toccato, per tutta la sua vita. Ci resta una frase, che ci offre una chiave di lettura. Il copione la affida a Madame Swiney, la tenutaria del bordello londinese in cui Bella incontra la sua Ombra – junghianamente – la sua parte più scura che la indirizzerà verso la completa emancipazione: “Dobbiamo sperimentare ogni cosa. Non solo il bene, ma anche il degrado, la tristezza…così possiamo conoscere il mondo. E quando conosciamo il mondo, allora il mondo è nostro”.
Luca Anaclerio
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