Ricostruirsi per ricostruire
All’inizio dell’anno, l’Ordine degli psicologi, attraverso il suo presidente David Lazzari, ha lanciato un allarme che da tempo, era nitidamente percepito da numerosi psicoterapeuti, ovvero, che la pandemia è andata creando un’emergenza sanitaria parallela, riguardante la salute mentale dei cittadini. Non solo di quelli che hanno vissuto in prima persona la malattia, ma, soprattutto di coloro che hanno scontato le restrizioni individuali e sociali attuate per contenere i contagi da Covid-19.
Riporta Lazzari: “La popolazione è smarrita e stanca, stremata da questa emergenza che non sembra finire. Da tempo è in atto una emergenza psicologica che solo la politica non vuol vedere. Che oggi si ripropone e si accentua con una nuova ondata della pandemia”. (Fonte Ansa 7 gennaio 22).
La variante Omicron, nonostante l’ampia copertura raggiunta dalla campagna vaccinale e scavalcando ogni timida rassicurazione proveniente dall’OMS sulla minore aggressività presentata dalla sua sintomatologia, non ha, di fatto, mitigato i timori e le resistenze psicologiche dei singoli. I germogli di speranza che avevano resistito alle precedenti ondate son stati spazzati da una crescente rassegnazione, sfociante, nella maggior parte dei casi, in un fatalismo deleterio.
Perfino l’iniziale chiamata all’unità e alla resistenza propagandata nel primo lockdown è scomparsa, sommersa nell’ esercizio del sospetto e della diffidenza verso l’altro.
Durante le ultime festività natalizie – la stessa Confcommercio ha parlato di “effetto omicron” riferendosi al crollo di spese e consumi – si è assistito alla nascita di micro lockdown, questa volta auto inflitti, operati talvolta, a scapito di rapporti interpersonali, nonché del proprio benessere personale. Un clima non alleggerito dalla contraddittorietà delle informazioni provenienti dai mass media e che ha inciso la leggera patina di equilibrio che ci eravamo guadagnati, grazie ai progressi ottenuti con le terapie mediche e la diffusione dei vaccini su larga scala.
Questa sindemia, come l’hanno definita ultimamente, i ricercatori della Società di Neuropsicofarmacologia, cioè questa “iterazione sinergica tra patologie diverse (fisiche e mentali)” andrà a definire il futuro prossimo, tanto da condurre sociologi ed esperti a prospettare la formazione di una “Generazione Covid”, insicura, ipocondriaca e chiusa; incline, facendo riferimento al DSM-V, a sviluppare quei sintomi riconducibili al “Disturbo post-traumatico da stress”.
È probabile che la tempesta stia passando, ma, gli strascichi dovranno esser gestiti con competenza e risolutezza. Anche per questo motivo si sperava che il Mef, nell’ultima legge di bilancio, non rifiutasse in toto, la proposta di un “bonus psicologico”. Se da due anni a questa parte si sono sprecate le metafore su discese agli inferi, gironi, demoni et similia, è anche vero che ora, ci sarebbe bisogno di Virgilio, per risalire; di figure competenti e professionali che accompagnino il cammino verso ciò che molti hanno definito (si spera) un nuovo Rinascimento. In questo momento, non sono lontane le stesse sensazioni di Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, così scriveva nei suoi Quaderni dal carcere (1930), riferendosi alla sciagura degli estremismi europei, sul crinale della II guerra mondiale.
Virgilio non evitò l’inferno a Dante, lo portò fino all’ultimo girone spiegandogli ogni incontro, ogni inciampo ed esortando costantemente il Sommo Poeta, attraverso l’esempio e l’eloquenza, ad affrontare paure, mali e mostri.
Lo conduce fino giù, nel vento gelido della Giudecca, là dove guardano negli occhi Lucifero.
Ma nemmeno questa visione mostruosa concluse il viaggio. Non bastò il timore di Dante, impaurito e nascosto dietro il suo maestro.
Servì altro per uscire. Servì abbracciare tutto l’inferno, avvinghiarsi al suo nucleo ed usarlo:
“Attienti ben, ché per cotali scale”,
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
“conviensi dipartir da tanto male”. (Inf. XXXIV,84)
Dante vive il suo processo di autopoiesi proprio nell’inferno, per dirla come Jung. Rinnova la sua vita obbedendo a leggi di morte e rinascita, di sofferenza e di felicità. Non trova nuove ragioni o nuove teorie sul suo essere, ma, una nuova Consapevolezza, utile per affrontare e risollevare il suo mondo: “Inferno è quando il profondo arriva a voi con tutto ciò di cui non siete più o non siete ancora padroni. Inferno è quando non potete raggiungere ciò che potreste. Inferno è quando dovete pensare, sentire e fare tutto ciò che sapete di non volere. Inferno è quando sapete che per voi dovere è anche volere e che ne siete responsabili”. (Jung, Libro Rosso pag.245).
Dall’Inferno si esce abbracciandolo. Accettandolo, comprendendolo.
È questo, un movimento vitale, non un esercizio intellettuale. Dante, non termina il suo racconto con l’abbraccio a Lucifero. Ci porta, con Virgilio, nella “natural burella” di “mal suolo e di lume disagio”, un luogo che seppur scosceso e buio, conosce la bellezza dell’amicizia umana, del bene, del conforto di chi sa dov’è l’uscita “per riveder le stelle”.
Forse siamo in questo punto della storia.
Dobbiamo scegliere se tornare indietro o proseguire per goderci lo spettacolo del cielo.
Bisogna scendere a prenderci il bene che ci si merita, quasi parafrasando una canzone di non molto tempo fa:
“Pijiate nu poc ‘e ben
Pigliate o calor ‘e sta canzone
E nun cercà ‘e capì manc ‘e parole
M’abbast ca pe n’attim me sient”. (C. Gnut – 2018).
L’analisi vive di parole e di ascolto, le usa per definire un nuovo cammino. Il tuo.
Luca Anaclerio
Immagine: dal Liber secundus di Carl Gustav Jung
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