Intersezioni
Intersezioni
Stamattina riguardavo vecchi lavori di anni passati, di passioni che restano nell’anima, altri lati di me. Studiavo design ed era il 2015, stavo lavorando al mio progetto dell’ “oggetto noto”. Un elaborato grafico che doveva spiegare il funzionamento di un minipimer della Braun.
Guardando l’ elaborato mi risuonano ancora in testa le indicazioni per l’esecuzione di una tavola perfetta.. intersezioni, prospettive, punti di fuga, pazienza, dedizione, e colore.. per rendere tutto più vero.
Tutto inizia da un foglio bianco, è la nascita, la gravidanza, la vita che nasce dal nulla.
Sul foglio ci sono bozze, schizzi a mano libera che rappresentano l’idea, idea che deve essere spiegata, deve trovare un senso ed una realizzazione.
Ciò che assume un ruolo fondamentale è la prospettiva.. come nella vita, non ne esiste solo una, o non potremmo vedere l’oggetto nella sua interezza, le prospettive sono tante quanti sono i lati dell’elemento, più se ne rappresentano, più sarà possibile visualizzare nella mente l’oggetto completo. Non esiste una sola e coerente prospettiva, ne esistono tante, tutte coerenti e impegnate nello spiegare una diversa posizione, un’inclinazione, la luce illumina dei lati, e genera ombre, fondamentali per comprendere l’oggetto stesso nella sua spazialità. L’oggetto non può essere compreso se non si analizza il suo contesto, se non si rappresentano le ombre, la luce che lo illumina.
“Le intersezioni sono l’anima del disegno” la frase che ha accompagnato i miei tre anni di design. L’intersezione è il punto in cui più linee si uniscono ma non si fermano in un punto comune, continuano per qualche millimetro ognuna la sua direzione.. andavano rigorosamente ripassate con il rapido 01.
Forse lì non capivo realmente perché fossero l’anima del disegno trattandosi solo di linee di costruzione. In effetti non rappresentavano l’oggetto in sé per sé, non venivano colorate, non erano illuminate.. ma erano il processo, e solo ora mi rendo conto di quanto il processo sia la parte più importante e decisiva, il processo non si vede, non è tangibile, esiste, se guardi bene lo percepisci, ma è una linea transitoria, che segna il passaggio ad un’ altra dimensione, senza questo non vi è elemento, non vi è vita, non vi è cambiamento. Non esiste nulla.
Ricordo ancora che la parte più bella era sempre alla fine, rappresentata dall’ “esploso”. L’elemento veniva finalmente raffigurato tridimensionalmente, veniva colorato, si giocava con le luci e con le ombre, era la vita, erano le emozioni, la gioia di aver quasi terminato, di aver dato vita ad un elemento, di averlo costruito da zero. E lì su quella tavola c’erano anche gli errori, che restavano a matita, potevi vederli se ti concentravi, ma si perdevano nell’interezza e maestosità del lavoro ultimato. E così anche gli errori potevano prendersi il loro protagonismo per aver contribuito alla costruzione e non alla distruzione, erano processo, erano mattoni di vita, erano parte fondamentale di tutto il lavoro, cancellarli era un errore su cui non si transigeva.
Ma l’esploso poteva essere realizzato senza prima aver dichiarato giusto spazio alle prospettive? Alle misure? Alle tantissime viste?
L’esploso era la parte più bella perchè tutto era finalmente visibile, era chiaro, studiato nel dettaglio e rappresentato dal processo.
Costruito su basi solide, in quanto l’elemento finalmente si conosceva, si poteva rappresentare ogni lato che si voleva, ci si poteva finalmente divertire con i colori perché si conosceva ogni curva, ogni spigolo, ogni misura dell’elemento. Senza conoscenza dello stesso, anche il colore poteva far paura, poteva rovinare il risultato finito, poteva non far comprendere realmente l’essenza.
Ad oggi mi soffermo su questa fase del processo per ridargli la giusta attenzione che merita, riguardo gli errori della tavola ringraziandoli di avermi chiarito ciò che in un primo momento non era così chiaro.
Riguardo le intersezioni, perché seppur non colorate, seppur esterne all’elemento ultimato non ne sono estranee, ma anzi sono la parte più interna, linea generativa e costruttiva, matrice e madre creatrice.
Riguardo il processo, con più lentezza, con la voglia di ridonargli il giusto tempo di esecuzione, di validare ogni linea, ogni cambiamento, ogni prospettiva, senza fretta, con l’obiettivo di costruirne ogni lato, ogni particolare, di dedicare spazio ad ogni linea tratteggiata, perché è vero quella linea in quella prospettiva non si vede, ma diventa inevitabilmente la protagonista se si cambia la prospettiva.
Ma conservo la gioia di arrivare alla fine, di portare il colore e la luce, di portare vita e festeggiamento per il progetto finito, senza togliere lo spazio al tempo che inevitabilmente è richiesto.
È la mia metafora della gruppo analisi, del mio cambiamento, e sento di essere ancora nella parte del processo e della costruzione di me stessa
benedetta racanelli
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