Fin dai nostri primi momenti di vita, in quanto esseri umani, siamo posti in relazione con Altri, che sono per noi fonte di sopravvivenza.
Queste relazioni ci consentono di vivere perché tramite queste rispondiamo ai nostri bisogni essenziali, ma ben presto divengono molto di più: sono fonte di riconoscimento, amore, protezione, affetto e cura.
Divengono braccia che accolgono e mani che accarezzano.
Ma cosa accade quando la stretta dell’abbraccio è troppo forte e ci si confonde l’un con l’altro?
Cosa succede quando non ci viene permesso di differenziarci e di divenire un Sé pieno, saldo e coeso?
Giungono sentimenti di confusione, indefinitezza e colpa che sperimentiamo ogni qual volta cerchiamo di far esperienza del mondo che è oltre la stretta di quell’abbraccio.
Giungono quando ci rendiamo conto che siamo fusi con l’Altro, che ci ama, ma che allo stesso tempo non ci lascia liberi.
E vivere questa libertà diviene una colpa, che evitiamo convincendoci che in fin dei conti quell’abbraccio non è poi così stretto, che è un abbraccio necessario per proteggerci, per essere al sicuro. E rimaniamo lì, in un calore che sì è tale, ma che allo stesso tempo ci soffoca.
Vivere simbioticamente ci richiede la piena giustificazione per l’altro, la piena sottomissione dei nostri desideri e della nostra libertà per il mantenimento di una relazione conosciuta solo nei termini di un annullamento personale.
Sottrarsi a quell’abbraccio significa voltare le spalle e abbandonare l’altro, perché non conosciamo altra via per la relazione, perché è l’unica che abbiamo mai conosciuto.
Lo stato di fusione ci porta non solo a rinunciare a noi stessi, ma a caricarci di pesi, ansie, preoccupazioni che non sono nostri, che non ci appartengono e verso le quali dovremmo proteggerci.
È un modello relazionale che acquisiamo a partire da quando siamo bambini, nel nostro contesto familiare, spesso caratterizzato da confini flebili, in cui tutti i membri della famiglia sono coinvolti nelle vicende senza una piena differenziazione dei ruoli: il genitore amico che chiede aiuto al figlio per la risoluzione di un conflitto coniugale, il figlio come confidente di ansie e preoccupazioni.
Quello che apprendiamo è che abbiamo un ruolo salvifico per i nostri genitori e per l’intero sistema famigliare e se da un lato questo può essere motivo di adulazione personale dall’altro ci carica di una responsabilità che non sappiamo come gestire, che ci richiede la perfezione e l’onnipotenza.
Il processo di separazione e di individuazione fa parte del processo evolutivo che ci consente di divenire adulti: segna il passaggio da uno stato iniziale in cui non vi è differenziazione con la madre ad uno in cui si realizza un sé separato, autonomo, con la consapevolezza delle proprie caratteristiche individuali.
Essere consapevoli dei confini della nostra persona, guardarli e demarcarli non significa ergere un muro verso le persone per noi significative. Ponendo dei confini non stiamo abbandonando nessuno: ci stiamo proteggendo.
Vivere in un continuo stato di invischiamento è debilitante. Poniamo in secondo piano, se non terzo, la nostra persona, i nostri obiettivi, i nostri desideri.
Possiamo pensare ai confini personali come ad un recinto: stabiliamo noi l’altezza, stabiliamo quando deve essere aperto e quando chiuso.
Porre dei confini ci consente di guardare prima noi stessi, di sentire ciò di cui abbiamo bisogno in un dato momento e comportarci di conseguenza. Possiamo essere liberi di stabilire quali ansie e preoccupazioni ci appartengono e quali no.
Ci diamo la possibilità di arricchirci della presenza dell’altro, senza essere necessariamente e inevitabilmente sopraffatti. Questo significa essere anche maggiormente disponibili, riuscire a comprendere meglio proprio perché non si è in uno stato di confusione e indifferenziazione.
“Non è possibile vivere solo di problemi, ogni tanto è necessario anche voler mangiare una pizza insieme, distrarsi”: la dimensione della condivisione, del piacere della presenza dell’Altro è ciò che ci rende vivi, ciò he ci rende umani. Possiamo realmente goderne quando sappiamo chi siamo, quando sappiamo stare con l’Altro senza che questo significhi per noi perdita o sopraffazione.
Anche la pizza ha dei bordi, a volte sottili, a volte spessi. Ma ha pur sempre dei bordi.
Fabiana Manghisi
Tirocinante presso lo Studio Burdi
Laurea Magistrale in Psicologia Clinico-Dinamica
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